malattia sui social
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È già da qualche anno che mi interrogo sulle community in cui si parla di malattia sui social. Cosa postare riguardo alla propria condizione? È solo un utile sfogo, una forma di scrittura terapeutica, o può veramente aiutare gli altri? Da sola ho trovato qualche risposta ma, come questo articolo dimostrerà, è nella condivisione che vengono fuori gli spunti più interessanti. Così ho scelto 3 creators che apprezzo particolarmente e ho fatto loro le stesse domande che mi pongo ogni giorno quando scrivo qui e sui miei canali social.

Le 3 creators che ho scelto

Si tratta di 3 donne, e questo la dice lunga: le donne, dicono le statistiche, sono più soggette a malattie “invisibili” come fibromialgia, endometriosi, vulvodinia e simili. Inoltre, ho notato che è più facile che si aprano a raccontare le malattie sui social e i loro sintomi (anche quelli più imbarazzanti). Questa è una triste realtà che il patriarcato ci ha regalato (grazie davvero). Demonizzando l’espressione della vulnerabilità maschile, reprime gli uomini dal raccontare emozioni, dolori e ripercussioni anche sociali delle malattie. Inutile dire che ci battiamo per i diritti di tutti e tutte, e vorremmo che tutti e tutte si sentissero a loro agio nel mondo. Bando alle ciance, vi presento le 3 creators.

@racconti_in_foglia: Si chiama Federica, è sarda e come me trapiantata al Nord. Crea degli splendidi gioielli artigianali ispirati all’arte e alla natura e sulla sua pagina instagram fa divulgazione sulle sue patologie (celiachia, fibromialgia e un’altra patologia rara in corso di diagnosi) e non solo. Sceglie fonti affidabili e raccoglie le storie di chi soffre di malattie croniche.

@male_non_e_normale: Anna ha 23 anni, è veneta e soffre di vestibolodinia, endometriosi e adenomiosi. Ha una relazione stabile da 3 anni ed è una studentessa. Di sé stessa dice “Mi ritengo una persona privilegiata per aver avuto la possibilità di studiare e di curarmi con sistemi privati“. Il che la dice lunga sulla sua necessità di fare divulgazione usando paper accademici, per aprire ad altre e altri il privilegio di informarsi sulla propria salute.

@becoming_conscious_of: Veronica ha 37 anni ed è di Torino. “Ho la spondilite anchilosante, l’artrite psoriasica, ibs, pcos e sono appena stata operata di cancro“, mi racconta. Un curriculum comune a molte persone che hanno diverse malattie croniche. E una necessità, altrettanto condivisa, di diventare consapevole del proprio corpo, anche parlando della malattia sui social.

1. Perché hai deciso di parlare della malattia sui social?

Veronica: Vedendo altre persone che parlavano [della malattia] con ironia e meme, ho notato quanto mi facesse sentire capita e stare meglio, così pian piano ho iniziato anche io ad espormi con l’obiettivo di suscitare in altr* quello avevo provato io.

Federica: Una mia amica mi ha consigliato di aprire una pagina-diario dove raccontare ciò che stavo vivendo, successivamente anche il mio fidanzato mi ha spinta a portare la mia testimonianza via social, in modo da fare rete e riunire chi stesse vivendo esperienze simili alla mia.

Anna: La mia prima diagnosi è arrivata a febbraio 2022. […]in un mese mi sono resa conto che la mia malattia era estremamente sconosciuta alle persone della mia età[…]. La pagina è nata per dare delle semplici definizioni di alcune malattie dell’apparato riproduttore femminile e per fare divulgazione all’interno della mia università (Politecnico di Milano, dipartimento di Design, campus Bovisa). Qui ho appeso l’8 marzo 400 volantini ironici e provocatori per attirare l’attenzione su questa tematica. Solo dopo, nell’estate 2022, ho iniziato a mostrare il mio volto e la mia storia personale sulla pagina. Perché ho iniziato? Perché ho visto che c’era bisogno di una narrazione diversa, consapevole e quasi unica purtroppo.

2. Secondo te è utile avere una community sui social?

Federica: Fare rete è essenziale sia per far sentire meno solo chi sta passando esperienze con le patologie croniche, sia come scambio di consigli, informazioni su ospedali o medici, condivisione di pagine e video di aiuto tramite i social. Consigli sui centri di riferimento, consigli per la gestione della patologia, consigli di vario genere utili per affrontare al meglio patologie che colpiscono l’individuo a 360°, fisicamente, psicologicamente e non solo. […]Sensibilizzare è essenziale per far uscire le persone dall’Invisibilità e per dar voce a chi, per i più svariati motivi, voce non ha.

Veronica: Ritengo sia estremamente utile, soprattutto [una community] virtuale perché i gruppi fisici ci sono (anche se pochi), ma essendo persone con malattie imprevedibili spesso ti trovi a non poterci andare di persona. Ci si sente capiti, supportati e si possono scambiare info molto utili su medic*, farmaci e terapie.

3. Ti sei mai pentita di esserti esposta online?

Veronica: Non mi sono mai pentita. Ogni tanto penso che avendo un profilo aperto sono più esposta a giudizi, disagi, etc, ma per l’aiuto che ricevo e dò ne vale la pena.

Federica: Sì, esporsi non è mai semplice e devi stare molto attento ai contenuti che porti. Anche se sei in buona fede, l’errore è sempre dietro l’angolo e anche una sola parola errata, può dare fastidio o creare disagio in chi ti segue; d’altronde, siamo tutti diversi e quando parli pubblicamente di temi delicati, devi mettere in conto tutto questo.

4. Hai ricevuto critiche o insulti per aver parlato della malattia sui social?

Anna: Ho ricevuto qualche critica […] da medici per aver parlato di tematiche molto scientifiche e mediche nonostante non fossi un medico. In entrambi i casi le informazioni che ho dato erano tratte da paper scientifici citati nel momento in cui ho parlato/scritto. Non avevo dato interpretazioni personali e le documentazioni erano recenti. Il tema era sulla malattia endometriosi.

Federica: Sì assolutamente. Purtroppo viviamo in una società dove ancora si pensa che “non si debba parlare di determinate cose” o che “sia meglio tenerle private”[…]. Essere malati non è una colpa o un qualcosa da nascondere e questa modalità di pensiero non è corretta, anche se purtroppo tantissime persone non lo capiscono. Non solo lo Stato tende ad invisibilizzare determinate Patologie ma, spesso, gli stessi malati tendono a invalidare e invisibilizzare altri malati. Una guerra inutile che non aiuta nessuno.

Veronica: L’unica critica è stata in merito al mondo del lavoro: se cerchi un impiego i potenziali datori di lavoro e colleghi possono conoscere situazioni molto personali e a volte questo purtroppo inficia sull’assunzione.

5. Hai avuto anche molti ringraziamenti da parte della tua community, però…

Veronica: Ho ricevuto tanti complimenti e soprattutto ringraziamenti…ed è questo che non mi fa demordere dal condividere e mi dà forza anche nell’affrontare il dolore.

Anna: Ricevo quasi quotidianamente dei ringraziamenti per parlare o per normalizzare tematiche taboo. Ti faccio un esempio banale ma che ha impattato molto: il non fare la doccia perché non si hanno le energie. È taboo ma tante persone con malattie croniche sono costrette a rinunciare alla doccia anche quando necessaria.

Federica: Fortunatamente ogni giorno ricevo numerosi ringraziamenti di persone che grazie alle Community si sentono meno sole, o che grazie ai miei contenuti informativi hanno aumentato la loro consapevolezza e conoscenza delle patologie. Spesso ho anche aiutato delle persone a indagare maggiormente sui propri malesseri e dolori, perché hanno riconosciuto problematiche, disagi e problemi legati a determinate patologie di cui parlavo nella pagina e così hanno capito cosa potevano fare e a che specialista rivolgersi. Questo mi ripaga totalmente di tutto ciò che faccio.

6. Ci sono degli aspetti della vita da spoonies che migliorano quando si parla di malattia sui social?

Federica: Sicuramente il discorso solitudine e isolamento sociale. Le Patologie ci colpiscono da ogni punto di vista, fisicamente e psicologicamente, dal punto di vista dello studio, del lavoro e della vita sociale e trovare qualcuno che comprenda a pieno ciò che stai passando è veramente una manna dal cielo. Siamo circondati da una società caratterizzata da abilismo e mancanza di empatia e spesso, solo tra noi malati, possiamo comprenderci a pieno, creando una grande rete di sostegno reciproco.

Anna: Come citato prima: consapevolezza, empatia, conoscenza della malattia stessa, coraggio (magari di rispondere a dei medici incompetenti).

7. Ti senti psicologicamente ed emotivamente meglio, da quando parli della malattia sui social?

Anna: […]per me è una terapia.

Veronica: […]sì, mi sento molto meglio facendo divulgazione e informazione. Anche perché la sensibilizzazione arriva e si fa anche a chi non ha patologie croniche: non tutt* capiscono e mettono in pratica i suggerimenti dati su come agire o cosa dire, però qualcuno si e questo può fare davvero la differenza nella vita quotidiana.

8. Per questo articolo ho trovato solo creator donne e/o femministe: secondo te c’è un motivo?

Veronica: Domanda interessante: ci sono creator anche uomini che seguo, ma effettivamente sono pochissimi. Credo che l’idea di virilità della società che abbiamo contribuisca a far sì che non si espongano quanto le donne.

Federica: Non saprei dirti. Una cosa che ho notato è che l’uomo ha maggior difficoltà nell’esprimere ciò che prova e ciò di cui soffre, di conseguenza noto che ci sono meno pagine di sensibilizzazione gestite da uomini.

Anna: Credo che tu abbia avuto una bella intuizione. Personalmente ritengo le persone che fanno attivismo, delle persone con grande empatia per tematiche sociali.

9. Come possiamo migliorare il modo in cui si parla di malattia sui social e al di fuori?

Veronica: On line mi sembra ci sia molta più attenzione verso i malat* cronic*…ma forse vivo un po’ in una bolla. Off line invece è tremendo, soprattutto con persone sopra i 50. Frasi e pensieri abilisti, denigratori, sminuenti…e il fatto è che non se ne rendono conto. Sarebbe utile fare sensibilizzazione con mezzi televisivi e cartacei (pubblicità, cartelloni, volantini, opuscoli) per raggiungere più persone.

Federica: Spesso, purtroppo, i nostri contenuti non riescono ad “uscire” dalla bolla online, da quella bolla che riguarda quasi esclusivamente i malati stessi. Risulta molto difficile riuscire a sensibilizzare “l’altro”, colui che non è direttamente interessato dalle patologie e dalle disabilità annesse. […]Per Creare un paese e un futuro migliore bisognerebbe sicuramente lavorare soprattutto a livello scolastico[…]. Inoltre, bisognerebbe insegnare che la diversità è intrinseca nell’uomo ed esiste a prescindere dalle disabilità che uno può avere o meno, una diversità che deve essere un dono, un qualcosa da coltivare e di cui andare fieri, non un qualcosa che alimenta isolamento. L’inclusività e l’accessibilità dovrebbero essere al primo posto ma è evidente che c’è ancora tanta strada da fare.

Anna: Partendo dal sistemare le definizioni obsolete sparse sui siti sanitari nazionali. Si tratta delle principali e maggiori fonti di informazione di chi cerca all’inizio di capire qualcosa riguardo le malattie croniche. Continuando si potrebbero modificare i cartelli sparsi ovunque che mostrano la disabilità come esclusivamente disabilità motoria (classica icona della sedia a rotelle). Le malattie croniche spesso implicano delle disabilità dinamiche assolutamente da non considerare come disabilità di serie b. Terzo modo che suggerisco, anzi che suggerisce meglio Irene del profilo @cervicalix è quello di iniziare ad evitare il più possibile l’abilismo interiorizzato che abbiamo tutti quanti noi.

Non posso che ringraziare Anna, Veronica e Federica per il loro prezioso supporto in questo articolo. Non mi serviva solo a parlare ancora una volta della mia malattia, ma soprattutto a spiegare perché ne parlo. Perché ne parliamo. Perché non possiamo smettere di parlarne, se vogliamo creare una società diversa da quella in cui siamo cresciute e cresciuti. Seguitele e supportate il loro lavoro di divulgazione: sono creature luminose, che arricchiranno il vostro feed. Ve lo assicuro.

Le interviste sono state in parte tagliate per problemi di lunghezza, ma non stravolte nella loro integrità.