Mad Men
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Avviso ai naviganti: questo post contiene lievi spoiler per tutte le 7 stagioni di Mad Men. Se non avete ancora finito la serie, correte a vederla (davvero!) e poi tornate qui. Abbiamo tante cose di cui parlare.

Di cosa parla Mad Men?

Se faceste questa domanda a chiunque, me compresa, la risposta sarebbe “Della vita di un brillante pubblicitario con un passato oscuro alle spalle, nella New York degli anni ’60“. La verità però è che parla di molto più di questo. La serie tv si concentra sulle agenzie pubblicitarie, sì, e sulla figura di Don Draper in particolare. Il decennio che attraversa è uno dei protagonisti, senza il quale l’intero impianto narrativo non starebbe in piedi. Ma Mad Men parla, soprattutto, di vita. Nel mio rewatch sto notando tutta una serie di cose che al primo sguardo mi erano sfuggite, e la sto amando ancora di più.

9 cose che ho imparato da Mad Men

Ed ecco alcune cose che questa serie tv, scritta magistralmente e recitata ancora meglio, può ancora insegnare a ognuno e ognuna di noi, anche se sono trascorsi già 8 anni dall’ultima puntata.

1. I bei vecchi tempi non sono mai esistiti

Ma sì, certo che gli anni ’60 sono esistiti. E con loro le gonne a ruota, i foulard da signora, la nascita del consumismo occidentale. Quella che non è esistita, non veramente, è la versione romanzata e bucolica che immaginiamo noi. Certo, gli anni ’60 sono stati bei tempi per qualcuno. Ma solo per qualcuno. Intanto bisogna circoscrivere il periodo gonne-a-ruota-boccoli-cadillac-ginnastica-per-signore a specifiche parti del mondo: gli USA e alcune zone d’Europa. E poi a una specifica parte della popolazione: quella bianca, eterosessuale (o che fingeva di esserlo) e benestante. Il resto era paura della Guerra Fredda, razzismo impunito e sessismo dilagante.

2. Non esistono più gli uomini di una volta? Meglio così!

Vedi sopra. I cosiddetti “uomini di una volta” sono quelli che hanno creato il patriarcato come lo conosciamo oggi, hanno creato il consumismo, hanno creato il sistema capitalistico in cui viviamo. Hanno creato persino il ruolo della casalinga e tutti gli orribili stereotipi che si porta dietro. Non mi credete? Leggete Il mito della Bellezza di Naomi Wolf. Quelli sono gli anni in cui le signore che avrebbero potuto entrare in politica, nelle istituzioni e nella forza lavoro diventavano schiave della circonferenza delle loro caviglie, dell’ultima dieta proposta da chissà chi e dell’infedeltà dei loro mariti. Sono gli anni di Betty Draper, inevitabilmente. A voi sembra che Betty Draper sia una donna felice e soddisfatta? Beh. E anche quelle (poche) che lavoravano non se la passavano tanto meglio. Quotidianamente sottoposte a commenti sessisti dei colleghi, quando andava bene, lavoravano il triplo degli uomini per guadagnare molto meno. E se facevano carriera, rimanevano zitelle oppure venivano picchiate dai mariti per non essersi dedicate abbastanza alla casa. Grazie, Ragazze della Sterling Cooper, per averci mostrato la realtà.

3. Nella vita e nel lavoro, scegli chi seguire

Don Draper è senza dubbio un personaggio carismatico, uno dei migliori che la televisione abbia mai partorito. Ma voi lo vorreste come capo? E come socio? Uno che appare e scompare, non racconta mai niente di sé, litiga con i clienti e manda in vacca gli affari perché non se la sente di firmare un contratto è come minimo una mina vagante. Come i suoi colleghi abbiano accettato di seguirlo alla fine della terza stagione rimarrà per sempre un mistero. O forse no? Erano innamorati. Così come a noi capita di innamorarci platonicamente del nostro capo, di una persona che ammiriamo, di un personaggio famoso di cui vorremmo imitare le gesta. O almeno vivere nel suo alone di luce. Ecco, ogni volta che succede ricordiamoci di Donald Draper che in più di un’occasione ha accecato i suoi colleghi e collaboratori per poi lasciarli alla deriva. Portiamo sempre con noi un paio di occhiali da sole, che è meglio.

4. Il lavoro creativo è lavoro vero

Sembra pazzesco doverlo ricordare, ma è così. I creativi alla corte di Mad Men sono delle teste calde, sono dei sognatori, sono dei visionari. A volte cannano di brutto. A volte invece fanno di una minuscola idea un successo planetario. Va ricordato sempre, sia quando parliamo di creativi in senso pubblicitario sia quando applichiamo questa etichetta ad altri settori lavorativi. I cantautori e gli sceneggiatori di film, gli scrittori e gli influencer lavorano. Se vi sembra che non lo facciano, è solo perché non avete idea di cosa ci sia dietro i post che scorrete su TikTok, il tormentone del momento che ballate in discoteca o il romanzo che vi ha aiutati a staccare la spina in vacanza. Ogni giorno, usufruiamo in decine di modi diversi del lavoro di milioni di creativi in tutto il mondo. Non denigriamoli.

5. Chi dedica tutta la vita al lavoro è un uomo morto

Dico davvero, eh. Ci sono innumerevoli esempi di tutto ciò in Mad Men. Da Lane che finisce per uccidersi, perché ha dedicato la vita a un lavoro che gli ha risucchiato le energie; a Don che letteralmente non sa vivere senza produrre nuove idee (il finale di serie più bello della storia lo dimostra). Ma non sono mica gli unici. Quasi tutti i dipendenti e i soci della Sterling Cooper vivono all’ombra del proprio lavoro e, per un motivo o per un altro, non sanno essere altro che dipendenti e soci della Sterling Cooper. Amici, famiglie, ideali vengono calpestati in nome del dio denaro, di una scalata al successo che, per qualcuno, non finisce mai.

6. Puoi essere quello che vuoi – ma devi avere il coraggio di esserlo

L’emblema del fallimento in Mad Men non può che essere Pete Campbell. Povero Pete. Potrebbe essere veramente qualsiasi cosa (davvero: è ricco, giovane, colto, intelligente e, nelle prime stagioni, bello). Invece è la parodia di sé stesso. Un uomo che non ha mai saputo cosa volesse davvero, perché ha sempre cercato l’approvazione degli altri. Prima di Don, poi di suo suocero, poi di Duke, poi di Lane, poi dei clienti, poi ancora di Don. Così finisce per sposare una donna che non ama, avere una famiglia che non vuole, acquistare un appartamento per cui sarà sempre debitore e lavorare, tutto sommato, senza che nessuno riconosca mai il suo valore. Promemoria per tutti: nessuno lo farà. Non il nostro capo, non i nostri genitori, non il nostro partner. O meglio potrebbero, ma non è detto. Tanto vale che iniziamo a riconoscerlo noi per primi. Joan e Peggy insegnano.

7. Il lavoro creativo ha bisogno di riposo

Oggi una conoscente ha pubblicato una frase su instagram:

Creative people need time to sit around and do nothing

A. Kleon

Questa frase di un autore americano che scrive di creatività nel lavoro contemporaneo può essere tradotta come “Le persone creative hanno bisogno di tempo per sedersi e non fare nulla“. Insomma, il tempo della noia. Quello di cui tanto spesso ci priviamo in nome della produttività compulsiva. Scrivere, scrivere, scrivere. Ma di cosa scriviamo, se non viviamo mai? Dove troviamo ispirazione, se non ci guardiamo mai intorno? Possiamo scrivere, certo, ma saremo creativi? Non credo. Saremo macchine sforna-contenuti.

8. Mad Men e l’importanza della psicoterapia

Scherzo sempre sul fatto che mi piace guardare i reality show perché mi mostrano chi sarei senza psicoterapia. Ma, quando sono scritte bene, anche le opere di finzione come questa possono farlo. Mi mostrano chi sono, chi potrei essere, chi divento quando perdo la bussola della mia salute mentale. L’insoddisfazione di Betty, la smania di sesso di Roger, le fughe patologiche di Don sono espressioni di un periodo storico in cui la psicoterapia era messa al bando o applicata da persone senza scrupolo (Don che chiama il medico di Betty per farsi raccontare ogni seduta mi mette i brividi, più di qualsiasi suo tradimento). Oggi abbiamo un’arma potente, che può aiutarci a non lasciarci divorare dai nostri demoni. Usiamola, vi prego.

9. Peggy Olson: essere donna in un mondo di Mad MEN

Pure Joan, per carità, ma essendo io una copywriter lasciatemi concentrare su Peggy. Il personaggio di Mad Men che subisce uno dei più importanti archi narrativi di tutta la serie: da segretaria a direttrice creativa, alla fine della serie è la nuova Don Draper. Ma migliore. Ha dovuto subire tutto quello da cui Don è sempre scappato (per la sua patologica fobia di impegnarsi e per il suo innegabile privilegio di essere un uomo). Per decine di puntate presa in giro per il suo aspetto, giudicata meno dei suoi colleghi uomini, ha scelto la carriera invece di avere un figlio da un uomo che non amava, ha fatto scelte artistiche controcorrente, ha tenuto testa al suo capo, ha capito alla fine di avere un talento immenso. E che non per questo deve rinunciare all’amore, alla famiglia, alla vita. Peggy sembra ispirata a Mary Wells Lawrence, che negli anni ’50 e ’60 era l’unica donna copywriter alla McCann (proprio dove lavora Peggy alla fine della serie). Ma è anche una donna impossibile, quello che tutte noi vorremmo essere e che forse non saremo mai. Come lei, ci impegneremo affinché sia possibile per ogni donna, per ogni persona avere tutto, tutto ciò che desidera.