C’è stata una battuta d’arresto, nella seconda stagione di Stranger Things, che è piaciuta ma non ha convinto. Con Stranger Things 3, invece, Netflix dimostra che le cose le sa fare e le sa fare bene, con al timone i fratelli Duffer (diventati un vero e proprio brand) e un cast strepitoso a sostenere una storia tutta immersa negli anni ’80. Ma non priva di difetti.
Stranger Things 3: gli anni ’80 tra horror e nostalgia
Il punto di forza di questa serie tv, fin dai suoi esordi, è stata l’atmosfera nostalgica e misteriosa che circonda Hawkins e i suoi abitanti. Il telefilm anni ’80 basa tutto ma proprio tutto su quell’atmosfera con le citazioni cinematografiche, le ambientazioni perfette, i costumi impeccabili, e qui fa un salto di qualità: Stranger Things 3 è su un altro livello dal punto di vista della regia, delle scenografie, dell’editing, perfino della recitazione di attori prodigio che erano bambini e oggi sono (nella realtà tanto quanto nella finzione narrativa) degli adolescenti.
Ma è soprattutto il mix, in equilibrio perfetto, tra horror (horror vero stavolta: lontanissimi sembrano i tempi di un Demogorgone che appariva solo al buio per camuffare la CGI un po’ barbina della prima stagione) e commedia romantico-adolescenziale. I bambini di Hawkins sono cresciuti, e con loro le dinamiche della serie tv Netflix ormai cult.
I personaggi: un’estate può cambiare tutto
Stranger Things 3 si apre in piena estate. Dalla stagione 2 sono passati circa 6 mesi, ma nella vita reale sono stati quasi due anni in cui gli attori protagonisti, in piena adolescenza, sono cresciuti fisicamente e non solo. Finn Wolfhard (Mike) si è fatto conoscere anche come musicista con la sua band, Millie Bobby Brown (Undici) è diventata un’icona di stile e tutti sono incredibilmente alti. Basta guardare i flashback dell’ultimo episodio per notare la differenza. Ma la pubertà ha colpito anche all’interno dell’arco narrativo, con le prime cotte e le liti fra gli inseparabili ragazzini nerd. Cambiano le dinamiche del gruppo, con un Mike sempre più adulto e un Will sempre più indietro (sono le conseguenze di aver passato mesi nel Sottosopra e poi posseduto da un demone, suppongo). Anche Dustin risente della momentanea separazione dal gruppo, il povero Lucas diventa quasi invisibile mentre Undici si scopre una giovane donna insieme a Max (ed è la prima vera e propria amicizia al femminile, escludendo i tre minuti di screentime della povera Barb. RIP Barb).
I “fratelli maggiori” non se la passano meglio: Jonathan e Nancy scoprono il mondo del lavoro, Steve si scontra con il dolore di aver deluso le proprie aspettative e quelle dei suoi genitori. Gli adulti, poi, in Stranger Things 3 sono quelli che si comportano da ragazzini. Joyce con il suo atteggiamento da quindicenne alla prima cotta; Hopper con la sua infantile gelosia nei confronti di Undici; la signora Wheeler che dimentica sempre più spesso di avere un marito e tre figli. Insomma, se i mostri del Sottosopra sono (anzi sembrano) sconfitti, quelli delle relazioni affettive sono in agguato, e fanno più vittime.
Le new entry: Robin ed Erica
Dopo aver letto numerose recensioni, mi resa conto di una cosa: sono L’UNICA che abbia odiato immensamente l’introduzione di Robin in Stranger Things 3? Nonostante la bravura di Maya Hawke (sì, è la figlia di Uma Thurman e Ethan Hawke, sì è identica a sua madre ma più bella), il personaggio proprio non sta in piedi. Un terribile esperimento alla Mary Sue che con Stranger Things, e la sua solita caratterizzazione ben definita dei personaggi, c’entra poco. Per chi non lo sapesse, con Mary Sue (al maschile Gary Stu) si intende il cliché letterario di un personaggio dalle doti, dalla fortuna o dalle capacità irrealisticamente perfette. Il che sembra un’assurdità, nella serie tv Netflix che ha per protagonisti nerd dalle conoscenze scientifiche superiori, Undici con i suoi poteri telecinetici, un Demogorgone, un mostro fatto di cadaveri di topi e persone (ve l’avevo detto, che a ‘sto giro è horror vero). Eppure eccola qui Robin, la ragazza bellissima, simpaticissima, arguta, brillante, che conosce QUALSIASI risposta a QUALSIASI domanda e traduce il russo con l’ausilio di una registrazione imperfetta e un dizionario. Un dizionario, ragà. Questa manco l’ha mai studiato il russo, ma ha studiato il tedesco e quindi è portata per le lingue. Sono certa che nessuno dei miei colleghi dell’università possa trovarla tollerabile. E no, la rivelazione della sua omosessualità non migliora la mia opinione su di lei. Non sei giustificato nello scrivere male un personaggio solo perché ti aiuta a raggiungere la quota diversity, anzi. You suck, Robin.
L’altra new entry nel cast di Stranger Things è Priah Ferguson, che interpreta la sorellina di Lucas, Erica. seppure anche lei poco realistica, almeno fa ridere. Rimane comunque da dire che la loro storyline, seppur a tratti spassosa grazie alla splendida bromance Steve/Dustin, è la meno credibile di questa stagione.
I cattivi: Billy, il Mind Flayer, il sindaco e Arnold Schwarzenegger (???)
Interessante la caratterizzazione di Billy, che era stato introdotto in maniera completamente random nella stagione 2 e diventa qui un personaggio in carne, ossa e sentimenti. Lo odiamo lo stesso, ma Dacre Montgomery lo ha interpretato benissimo. Meno interessante il personaggio del sindaco corrotto (già visto, baby) e quelli degli improbabili russi grossi, cattivi e immortali alla Terminator. Adorabili, ovviamente, Murray Bauman e Alexei. RIP, Alexei.
Nel bel mezzo della Guerra Fredda, il Sottosopra torna a far danni attraverso il Mind Flayer che, lo avevamo già visto nel finale della stagione precedente, è rimasto in qualche modo dalla parte sbagliata della porta. E adesso fa esplodere ratti e trasforma le persone antipatiche in un ammasso gelatinoso di sangue mestruale e budino alla fragola. Che schifo. Pensate però a QUANTO sarebbe stato figo se anche uno dei protagonisti, uno dei buoni, fosse entrato nel suo esercito. Ma forse Stranger Things non è ancora pronto a mollare i suoi amatissimi personaggi principali.
Cosa significa il finale di Stranger Things 3?
Significa che Netflix, come già accaduto in altre occasioni, non ha proprio il coraggio di concludere e le sue serie tv all’apice del loro successo. E così come è prontissima a rovinare Russian Doll con un inutilissimo rinnovo, ecco che nel finale di stagione prepara il terreno per la disfatta di Stranger Things.
La morte di Hopper è un momento fondamentale, che si presagisce già dalla puntata precedente ma non per questo appare scontato. Il sacrificio estremo, per quella figlia che non è sua ma che desidera ardentemente viva una vita serena, per quella famiglia che non è sua ma alla quale vuole dare un motivo per restare a Hawkins, a casa. La lettera di Hopper nel finale è straziante e poetica, forse un po’ melensa ma bellissima (se ve lo steste chiedendo, sì, ho pianto). Sentire il discorso finale di Hopper sopra le immagini della famiglia Byers che si allontana da Hawkins e dai suoi terribili ricordi è il perfetto finale di stagione, sarebbe stato il perfetto finale di serie. Agrodolce, come un altro finale di serie ci aveva promesso di essere e non è stato (sto guardando te, Game of Thrones!), sensato e in linea con la serie tv.
Invece no. Arriva la scena post credit, a farci pensare che Hopper sia vivo (come? il mio fidanzato lo ha capito, chiedetelo a lui) e come la quarta stagione di Stranger Things sia già in programma. Torna anche il Demogorgone, nella sua inquietante bellezza, dritto dritto dalla stagione 1 ma con una CGI nettamente superiore. E che dobbiamo fare? Gli anni ’80 sono tornati, non ci resta che sperare per il meglio.
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