L'autobiografia come cura di sé - La teoria della Carruba
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L’autrice di “La Teoria della Carruba” ci tiene, fin dalla prima pagina, a farci sapere che questa non è la sua autobiografia. Ma dovremmo crederle? In fondo si tratta di una etno-antropologa, che sa bene cosa voglia dire raccontare una storia tramite odori, sapori, colori. Antonietta di Vito, che lo voglia ammettere o no, usa l’autobiografia come cura di sé, per ricucire il proprio io spezzato da anni di pandemia. Ma andiamo con ordine.

La teoria della Carruba

Questo libro, edito da La Bussola e scritto in pieno periodo pandemico, è una raccolta di racconti. O almeno, così sembra. Suddiviso in 7 sezioni, presenta esempi di vita quotidiana nel cuore del Molise, racconti d’infanzia ma anche profonde riflessioni sugli autori e le opere, le parole e la loro potenza, il ricordo e il presente.

È l’autobiografia come cura di sé, interpretata con arguzia e leggerezza da una donna che sa bene quale sia il significato dei racconti per i popoli. A partire dalla passione per le carrube, comprate e divorate alle feste di paese, Antonietta di Vito procede per tappe a ricucire la propria storia, quella del suo luogo natale, poi quella dell’umanità.

Lo fa con delicati intrecci e rimandi ai personaggi della sua infanzia, ai gesti che da bambini non significano niente e, rivisti alla lente del senno di poi, diventano riti. Proprio quei riti collettivi, familiari, paesani e regionali, aiutano l’autrice a tracciare la strada del proprio passato e del proprio futuro.

L’autobiografia come cura di sé

Più volte nel corso dei racconti Antonietta di Vito fa riferimento al periodo pandemico. Quello che ci ha presi e strappati dalla nostra quotidianità, ha reso mutabile ogni rito che consideravamo assodato, ha regalato il volto della paura ai nostri vicini, amici e conoscenti.

Così, anche se la prima pagina di “La teoria della Carruba” recita

ceci n’est pas une autobiographie

questa in fondo lo è. Certo, in una forma in cui non siamo abituati a vederla. Autobiografia come cura di sé, di quei pezzi che sono stati strappati all’io fanciullesco e sparpagliati dalla tempesta della vita.

Ma anche autobiografia come cura della società (non a caso, l’autrice è un’etno-antropologa). Come recupero dei riti di una volta, vissuti con la nostalgia mitologica dello sguardo al passato e qualche sprezzante stoccata al presente.

Rammentare, rammendare, ricucire, restaurare

Una persona che ha dedicato la vita allo studio dei popoli e delle persone che quei popoli compongono, non poteva che nascere in Molise. La più mitologica delle terre italiane, quella che ancora oggi viene presa in giro per la sua presunta inesistenza. Ma se il Molise non esistesse, non esisterebbe “La teoria della Carruba“.

Invece esiste. Esistono i ritmi lenti, i cibi genuini, il lavoro della terra. Perfino, esiste una sterminata popolazione di analfabeti che appena qualche decennio fa metteva una X al posto della propria firma. E anche là dove è scomparsa, esiste nei ricordi di chi l’ha vissuta.

Chissà cosa esisterà di noi. Saremo capaci di rammentare, rammendare, ricucire, restaurare questi tempi tra qualche decennio? Di usare l’autobiografia come cura di sé, della propria storia, della propria comunità? Non ne sono sicura, ma so che dovremmo provarci. Piccoli esploratori alla ricerca di un senso, scaveremo nei nostri ricordi e ne faremo una storia.

Chissà se per allora Antonietta di Vito avrà imparato a cucinare.

Questo libro mi è stato donato da Scrittura a tutto tondo, che ringrazio.

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