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Compiere 30 anni è il nuovo incubo. Almeno, così sembra se solo si prova a cercare su Google “30 anni e…“. Vi prego, non fatelo.

Ma forse non si tratta di una paura così nuova come potremmo pensare noi Millennials (si sa, siamo convinti di essere sempre i primi a provare un certo sentimento nella storia dell’umanità). Se avete visto il musical Tick, tick… Boom! sapete che già i trentenni del ’90 erano terrorizzati. E perché mai?

30/90

La canzone con cui si apre il musical di Lin-Manuel Miranda, ispirato all’omonimo spettacolo teatrale e alla vita dell’autore Jonathan Larson, è la chiave della crisi dei trentenni. L’intero film si svolge nella settimana in cui Larson compie 30 anni e questa data sembra essere per la vera e propria bomba a orologeria del titolo, pronta a scoppiare quando soffierà sulle candeline.

Nel testo della canzone 30/90 è condensata la paura di Larson, e pure la nostra (ciao ciao, bambini nati nel 1992!).

Don’t panic, don’t jump ship
Can’t fight it, like taxes
At least it happens only once in your life

They’re singing, “Happy Birthday”
You just want to lay down and cry
Not just another birthday
It’s 30/90

Why can’t you stay twenty-nine?
Hell, you still feel like you’re twenty-two
Turn thirty, 1990

Bang, you’re dead!
What can you do?

Testo di 30/90 dal musical Tick, tick… Boom!

Il protagonista tratta, con una nota ironica ma anche con genuina paura, i suoi 30 anni come una catastrofe imminente. La paragona perfino alle tasse, a un naufragio, a un colpo di pistola.

Cos’è 30/90 in Tick, tick… Boom!

La visione di Larson è strettamente legata alla sua carriera (anzi, nel 1990 alla sua non-carriera) da autore di musical. Quello che qualche anno dopo sarebbe diventato il genio autore di Rent, venerato a Broadway e non solo, allora lavorava da ben 8 anni a un musical senza successo, Superbia.

E il mondo bohemian del teatro non è certo il luogo migliore per sentirsi giovani. Compiere 30 anni e non aver ancora portato un proprio spettacolo a Broadway è una sconfitta per Jonathan perché il suo mito, Stephen Sondheim, è stato paroliere di West Side Story a 27.

Tutto il resto non conta: la pietra miliare dei 27 anni di Sondheim, e quella dei 30 anni che si avvicina per Larson, sono le uniche due coordinate di un sicuro naufragio. Reso ancora più tragico dall’abbandono della nave di amici e fidanzata, che hanno lasciato andare i sogni di gloria e si dedicano ad attività più redditizie e sicure.

Compiere 30 anni nella realtà

Questa tappa risulta particolarmente dolorosa per alcune categorie di individui (gli artisti, appunto, o gli atleti), ma un giro sul web dimostra facilmente quale sia la visione dei 30 anni da parte di chiunque altro.

Guardate questa schermata di AnswerThePublic, che mostra le domande più ricorrenti su Google legate a questa fatidica età:

Saremo mica un po’ pessimisti tutti quanti? Forse diventare trentenni non è esattamente quella tragedia che sembrava a Larson, e che sembra a molti di noi. Forse i 30 anni sono solo un altro anno della nostra vita.

Il dilemma Millennial

Se il 1990 era forse un momento in cui i trentenni avevano già una carriera avviata, magari una famiglia, una casa di proprietà, e Jonathan Larson era convinto che questa età fosse in qualche modo fatidica a Broadway, oggi ci scontriamo con altri dilemmi.

Un Millennial che compie 30 anni è uno che sta cercando di fare l’adulto e si sente ancora ragazzino. Lo so perché lo sono anch’io (Marzo, non ti temo). I nostri genitori alla nostra età erano sposati con figli, avevano una o due case di proprietà e una prole almeno immaginata.

Noi? Noi a 30 anni siamo nel pieno della terza crisi economica da quando siamo nati, stiamo vivendo una pandemia, il mondo del lavoro è tutta un’altra storia e l’idea di fare figli è quanto di più lontano possa esserci dai nostri progetti futuri.

Non sentirsi adulti abbastanza

Ma qual è il problema reale in tutto questo? Forse sono i 30 anni? O è la crisi economica? O l’esempio che ci hanno dato i nostri genitori e che non siamo in grado di seguire? Ho trovato la risposta sul post di un’amica (che spero non si dispiaccia se uso i suoi dilemmi per risolvere un po’ anche i miei). “Che si fa quando si teme terribilmente di essere stupidi e sbagliati e non all’altezza?” ha scritto su Facebook.

E io mi sono trovata a farmi la stessa domanda: cosa si fa? Quando si hanno trent’anni (o quasi) e non ci si sente trentenni abbastanza? Forse si fa pace con sé stessi. Si accetta che sì, non sempre saremo all’altezza. Non sempre siamo adulti responsabili. Magari la nostra carriera non è ancora avviata, magari non c’è una relazione stabile alla quale appoggiarsi, oppure semplicemente non sappiamo che diavolo fare della nostra vita. Magari, come per la fidanzata e il coinquilino di Jonathan, i nostri sogni non sono ancora così definiti. Va bene.

Il punto non è cancellare quella data dal calendario. Non è neanche essere sempre all’altezza. Forse il punto è accettare che non lo siamo e va bene così. Possiamo ricominciare la nostra vita a 30 anni, o a 40 o a 50, magari il nostro show debutterà a Broadway dopo che ce ne saremo andati, come quello di Larson. E in ogni caso sarà un successo.

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