Stranger Things, Jonathan e la cancel culture
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Queste ultime settimane, in USA e non solo, hanno visto i fan di Stranger Things discutere su Jonathan. Ma perché improvvisamente uno dei personaggi meno interessanti della serie tv ha riscosso così tante accuse appassionate? Vediamo di cosa si è trattato e cosa significa a livello culturale.

Cos’è successo con Stranger Things e Jonathan

All’inizio di Stranger Things Jonathan è il fratello maggiore e un po’ disadattato del povero Will Byers (anche detto porastella). A caratterizzarlo è principalmente il suo essere impacciato e insomma, sì, un nerd. Nella sottocultura dell’Indiana anni ’80 (e soprattutto nel mondo delle serie tv) i liceali si dividono in categorie ben precise e Jonathan Byers è uno sfigato.

Povero in canna, abbandonato dal padre, sua madre è una svitata e suo fratello il ragazzino nerd che è stato rapito non-si-sa-da-chi. Insomma, non se la passa benissimo. Di lui sappiamo un paio di altre cose:

  1. Almeno è un bravo fratello e, finché ha potuto, ha sempre protetto Will Porastella dai mali del mondo al suono di Should I Stay or Should I Go?
  2. Ama scattare fotografie con la sua macchinetta che porta un po’ ovunque (tranne nei boschi, dove servirebbe proprio, eh Jonathan?)
  3. Ha una cotta pazzesca per Nancy Wheeler. E chiamalo scemo: è una bella ragazza, una brava ragazza e la conosce da sempre, perché sorella del migliore amico di suo fratello.

Unico problema: Nancy è fidanzata con Steve, che all’inizio di Stranger Things è il più figo e il più stronzo della scuola e poi diventerà il personaggio preferito di praticamente tutti-ma-proprio-tutti. Ma questa è un’altra storia.

Stranger Things 1: I crimini di Jonathan

Il problema con Stranger Things e Jonathan è che alcuni fan sfegatati, dopo l’uscita della quarta stagione, sono andati a fare un mega-rewatch di quelle passate e hanno scoperto i suoi crimini. Crimini che, tra l’altro, conoscevano già. Nella prima stagione Jonathan, dicevamo, ha una cotta non ricambiata per Nancy e va in giro ovunque con la sua macchina fotografica.

Ecco, succede che “per sbaglio” fotografa alcuni momenti della prima volta di Steve e Nancy dalla finestra della villa in cui la povera Barb trova la sua fine. Succede pure che “per sbaglio” le foto di Nancy in reggiseno in procinto di avere un incontro amoroso mentre la sua migliore amica muore male cadano dallo zainetto di Jonathan durante una lite con Steve.

E il pubblico, giustamente, insorge. Non tanto perché il personaggio ha fatto qualcosa di sbagliato (fotografare una ragazza, oltretutto minorenne, in reggiseno senza il suo consenso e tenersi quelle foto), ma perché il fattaccio non viene mai più menzionato dalla serie tv. Anzi: Nancy lascia Steve e si mette con Jonathan e nel frattempo il primo diventa un personaggio di spessore mentre il secondo è di una noia mortale.

La reazione di Netflix

Il problema qui non è tanto l’indignazione dei fan di Stranger Things (Jonathan merita il loro disprezzo, la loro antipatia e pure un bel rimprovero per quelle benedette foto). Il problema è l’apparente reazione di Netflix. Si è detto che la piattaforma di streaming, che sta perdendo milioni di iscritti e sembra si tenga su solo con il successo di Stranger Things, non abbia retto al pericolo che il suo prodotto di punta divenisse vittima della cancel culture.

E per tutta risposta abbia cancellato il problema, rieditando quelle scene di Stranger Things 1 in modo da far apparire meno psicopatico e stalker il povero Jonathan. Adesso sembra che Netflix abbia smentito tutto ciò, sembra che il cambio di editing non ci sia mai stato e insomma, forse i fan hanno sognato tutto. Può capitare, se guardi mille volte di seguito la stessa puntata di una serie tv sui mostri al solo scopo di individuare microscopiche differenze di editing. Cioè, credo possa capitare. Ma il vero problema in tutto questo qual è?

Il vero problema con Stranger Things, Jonathan e Netflix

Il reale inghippo nel quale Netflix si è trovata aggrovigliata non è l’azione da stalker di un personaggio che viene universalmente considerato “un bravo ragazzo pure un po’ noiosetto”. Il vero problema è il modo in cui la piattaforma avrebbe o non avrebbe affrontato la cosa.

«Nessuna scena delle stagioni precedenti è mai stata tagliata o rieditata», si legge in un post Twitter dell’account ufficiale dei registi, i Duffer Brothers. «E non lo saranno mai». Il caso è chiuso, dice Cosmopolitan. A me sembra che il caso, però, sia un altro. Davvero siamo pronti a riprendere una scena andata in onda 6 anni fa e cancellarla perché uno dei personaggi ha fatto qualcosa di negativo? Siamo pronti a chiedere ai nostri sceneggiatori, scrittori, narratori di storie di fare tutto questo? E perché?

La cancel culture non ci salverà dai problemi del mondo. Lo storytelling lo farà

Cancellare una scena da una serie tv perché dipinge un comportamento misogino, molesto, perfino violento, non è la soluzione. Gli uomini non smetteranno di fotografare donne in reggiseno senza il loro consenso perché Stranger Things ha tolto la scena in cui Jonathan lo fa. Non è cancellando i comportamenti che non siamo più disposti a tollerare dai nostri mezzi di intrattenimento che li cancelleremo nella vita vera. E allora come? Parlandone. Prendendo il discorso che si è creato attorno a Stranger Things e Jonathan nell’opinione pubblica e trasformandolo in un momento di storytelling.

La serie non è ancora finita, manca una stagione, quella definitiva. Perché non pretendiamo che chi ci narra delle storie sappia poi affrontarle? Perché non chiediamo ai Duffer Brothers di inserire, nella prossima stagione, una scena in cui Jonathan e Nancy, e magari anche Steve, discutono dell’accaduto? Lanciare i messaggi giusti ai giovani (e ai meno giovani) attraverso una serie tv sui mostri si può, ma non eliminando tutti i comportamenti negativi di tutti i personaggi.

Impariamo a raccontarci e a farci raccontare la complessità. Che passa anche da un adolescente scemo e un po’ nerd che ha compiuto un’azione estremamente sbagliata nei confronti della sua futura fidanzata, se ne rende conto e chiede scusa. E fa un discorso sulla diffusione non consensuale di materiale intimo. Cresce. Impara. E con lui, anche noi.