Se dall’autore di Glee, Pose e American Crime Story abbiamo imparato qualcosa è che la parola “troppo” non esiste. Almeno non a Murphylandia, il regno rosa confetto di Ryan Murphy in cui tutto è eccessivo, niente è in equilibrio, le trame sono assurde e i personaggi inverosimili. Eppure irresistibili. Lo stesso accade in The Politician.
Perché The Politician è tra le serie tv da vedere in questo autunno
Netflix sembra puntare a questa stagione televisiva e cinematografica con grandissima convinzione. Oltre ai film d’autore presentati al Festival del Cinema di Venezia, arriva la seconda stagione dell’altrettanto assurda Insatiable, arrivano la terza stagione di Big Mouth e di The Crown, inizia (speriamo col botto) il finale di BoJack Horseman. Ma è con The Politician, e l’incredibile e blindatissimo contratto che lega Ryan Murphy a Netflix per i prossimi 5 anni, che la piattaforma ha cominciato a guadagnarsi una posizione di tutto rispetto nella stagione d’oro della tv.
The Politician è Gossip Girl che incontra Pose che incontra Glee, e il risultato è un teen drama dal gusto barocco. Visivamente Wes Anderson, tematicamente Sex Education, i riferimenti alle serie tv targate Ryan Murphy e ai pilastri della tv e del cinema dei primi anni 2000 si sprecano. Si confondono. E confondono lo spettatore in un tripudio di lustrini e zucchero filato nel quale è difficile districarsi.
Le ossessioni di Ryan Murphy e dei suoi personaggi
I personaggi di Ryan Murphy sono sempre ossessionati da qualcosa. Dal successo in Glee, dalle ballroom battles in Pose, dal potere in The Politician. Il protagonista Payton Hobart si lascia amare per il suo essere vulnerabile e fondamentalmente una brava persona, ma non si iscrive completamente nel club dei buoni. Nessuno lo è veramente. La madre (una Gwyneth Paltrow che sembra ricatapultata nei panni di Margot Tenenbaum) troppo ossessionata dalla felicità per inseguirla davvero; il padre troppo impegnato a mantenere le apparenze per rendersi conto che i suoi figli progettano il suo omicidio; la fidanzata che, con l’obiettivo di diventare first lady, dimentica lungo la via il suo amore per Payton. E gli amici, quell’assurdo serraglio di personaggi impeccabilmente vestiti e cinicamente pronti a tutto per la politica. Non si salva nessuno. C’è la nonna che avvelena la nipotina per ottenere pranzi e viaggi gratis; il fidanzato pronto a uccidere per riavere la sua ragazza; la ragazzina viziata, tanto accecata dall’ipocrisia della sua famiglia da inscenare il suo stesso rapimento.
Tutti personaggi a loro modo odiosi, intollerabili, eppure estremamente affascinanti.Perché nella loro assurda corsa al potere rivediamo lo specchio della politica attuale (tanto in USA quanto in Italia) e anche, per quanto ci dispiaccia ammetterlo, lo specchio di noi stessi. E sono sempre i personaggi peggiori a farci vedere chi siamo davvero.
La fluidità sessuale: non siamo i nostri genitori
Il sesso non ha nulla a che vedere con la lealtà. Non siamo i nostri genitori. Così dice Alice a Payton nell’ultima puntata della prima stagione. E se il tradimento è un argomento delicato, su cui ognuno ha la propria opinione, sulla seconda parte possiamo essere tutti d’accordo: non siamo i nostri genitori.
Ryan Murphy ce lo ricorda continuamente, non sono mettendo a confronto una generazione e l’altra (padri, madri e figli sono il nucleo centrale di numerose sottotrame) ma anche mostrando la serenità con cui la cosiddetta Generazione Z affronta la fluidità sessuale e l’assenza di etichette. Con Pose Ryan Murphy aveva stravolto la storia della tv LGBT, mettendo per la prima volta attrici transessuali nel ruolo di – pensate un po’ – personaggi transessuali. Qui valica ancora il confine. Di Skye viene esplicitamente dichiarata l’identità gender non-binary (non si riconosce nel genere femminile né in quello maschile), ma gli altri personaggi di The Politician lasciano le loro preferenze sessuali ambigue. Astrid e Payton, McAfee e River (l’unico personaggio interamente positivo, che paradossalmente permette di affrontare temi delicati come il suicidio adolescenziale e l’accesso incontrollato alle armi in America) hanno un orientamento sessuale fluido. Ma l’esempio più lampante è quello di James. Interpretato da Theo Germaine, un giovane attore transessuale, la sua identità sessuale non viene mai nominata all’interno della serie tv. Intenzionalmente. Ryan Murphy ha deciso che nulla importa, nell’era della fluidità, se non la storia. E il fatto che James sia transessuale non ha nulla a che vedere con la storia, quindi viene tralasciato. Chissà se un giorno la smetteremo anche noi, di chiederci davanti allo schermo “Ma quello è maschio o femmina? Sembrerebbe un maschio, ma ha il sedere da femmina!” e ci concentreremo sulla storia. Chissà.
The Politician, come finisce?
Nella migliore tradizione di Murphylandia, la trama barocca (come ama definirla lui) della sua serie tv si complica e si intreccia all’infinito negli ultimi minuti della prima stagione. E si conclude con l’apertura di una nuova campagna elettorale, premessa di un The Politician 2 già in lavorazione. Ryan Murphy non ha alcuna intenzione di lasciare i suoi personaggi ai loro abitini bon ton e alle loro canzoni strappalacrime. E neanche Netflix. E neanche noi.