La Forma dell’Acqua è il vincitore assoluto degli Oscar di quest’anno. Vediamo come ha fatto questa favola moderna a conquistare sia il pubblico che la critica.
La Forma dell’acqua, favola moderna
Tale as old as time, una storia vecchia quanto il mondo: la favola di un amore che si trova nei luoghi in cui non ci si aspetta di trovarlo. Ma La Forma dell’Acqua non è soltanto questo, non è solo la storia d’amore tra la minuta e muta Elisa e la creatura acquatica con poteri da divinità. La Forma dell’Acqua è una storia di diversi che si uniscono per combattere il patriarcato, è una dedica d’amore per il cinema e molto di più. Ecco perché (secondo me) ha meritato la vittoria agli Oscar 2018.
Guillermo del Toro cerca dagli anni ’90 l’equilibrio perfetto tra fantasy e storia, e lo ha raggiunto con questo film. Sempre alla ricerca dell’elemento favolistico da intersecare alla realtà, troppo spesso nei suoi film passati (basti pensare al Labirinto del Fauno) è rimasto invischiato in citazioni e metafore troppo cerebrali per essere apprezzate dal grande pubblico. Ne La Forma dell’Acqua, però, questi elementi raggiungono finalmente l’equilibrio. Una storia “assurdamente complicata e allo stesso tempo assurdamente semplice”, come l’ha definita lo stesso Guillermo del Toro.
La trama del film
Nella Baltimora degli anni ’60 una donna senza voce, dal corpo esile e dalla volontà di ferro, si divide tra il suo lavoro come inserviente in un laboratorio governativo di ricerca scientifica e la vita privata fatta di abitudini e piccoli piaceri. I suoi migliori amici sono il vicino di casa Giles, un artista omosessuale che non si è mai dichiarato e si ritrova in vecchiaia nella malinconia di non aver mai trovato un compagno, e la collega Zelda. Una donna di colore che vive nell’America degli anni ’60 e combatte pregiudizi e incomprensioni con il marito con un’incredibile gioia di vivere (e di parlare). Una donna disabile, una di colore, un omosessuale non dichiarato, uno scienziato che nasconde la propria nazionalità dietro un nome e una lingua che non gli appartengono. È una storia di diversi, di emarginati, di personaggi letteralmente e metaforicamente senza voce, che si uniscono contro il vero mostro del film. Un uomo bianco, eterosessuale, americano, perfetta incarnazione del patriarcato di allora e di oggi. In mezzo, nasce l’amore tra Elisa e la creatura acquatica che si sta studiando all’interno del laboratorio, un dio dell’acqua strappato al suo elemento e utilizzato come cavia.
Mutaforma come l’acqua, questo film è una dedica d’amore al cinema, grazie ai numerosi riferimenti a classici del passato (la creatura è molto simile al Mostro della Laguna; Elisa e Giles guardano in tv un film con Shirley Temple; la scena in bianco e nero è rubata dai vecchi film di Fred Astaire e Ginger Rogers). Il cinema è la via di fuga dalla realtà, che cala la fantasia nella vita reale di personaggi estranei, diversi, di fatto soli.
A completare la perfezione di questo film, che racconta con levità ed elementi horror un amore atipico che supera ogni difficoltà e confine, sono una colonna sonora perfetta e una scenografia incredibilmente d’effetto. Non a caso, La Forma dell’Acqua ha vinto un Oscar anche in queste due categorie, oltre ai premi come miglior regista e miglior film a Guillermo del Toro. In un’edizione, quella degli Oscar 2018, volta a raccontare la diversità, credo che nessun film lo abbia fatto bene come La Forma dell’Acqua, in maniera sottile ma potente.
Foto da Mymovies.it e Filmtv.it