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La nuova traduzione de Il Signore degli Anelli ha scatenato accese polemiche: come mai? Succede una cosa, quando ti affacci al tuo primo corso di traduzione, in qualsiasi settore e in qualsiasi lingua. Succede che l’insegnante esordisca sempre con la questione del “mondo condiviso“. Sì, perché tradurre vuol dire prendere concetti, termini, oggetti, luoghi che appartengono a una lingua e quindi a una cultura e trasferirli a un’altra. Il “mondo condiviso” dai lettori della lingua d’origine non coincide con quello della lingua target, e quindi ogni concetto va ridimensionato sulla base di un altro mondo, di un’altra cultura, infine di un’altra lingua.

Tradurre dall’inglese all’italiano, per esempio, non è una questione di corrispondenza tra le parole, ma di adattamento di termini, situazioni e oggetti il cui significato è condiviso dai lettori anglosassoni a termini, situazioni e oggetti il cui significato sia chiaro ai lettori italiani. Un lavoraccio. E quanto può essere maggiormente difficile, questo lavoraccio, se il mondo da tradurre non è né quello della lingua sorgente né quello della lingua target ma un mondo fantasy? Un mondo che, di fatto, non esiste se non nella mente del suo autore?

Perché la nuova traduzione de Il Signore degli Anelli è l’incubo di ogni traduttore editoriale

Lo abbiamo visto accadere in numerose situazioni, l’ultima delle quali è la nuova traduzione de Il Signore degli Anelli. Il romanzo fantasy è un incubo, è l’inferno del traduttore editoriale. Perché il lavoro da svolgere è prendere un mondo (che non esiste, ricordatelo) e tramutarlo in un altro mondo (che non esiste, neanche questo) affinché i lettori di un’altra lingua possano capirlo.

Facciamo un esempio pratico di traduzione editoriale di un fantasy. Siamo nel 1997, dall’Inghilterra arriva un libro fantasy per ragazzi che si chiama Harry Potter and the Philosopher’s Stone,  di un’autrice sconosciuta. Un team di traduttori della casa editrice Salani ha il compito di renderlo fruibile agli undicenni italiani. Fruibile. Prendi la parola Hufflepuff e rendila fruibile agli italiani. Cioè, capite? Una parola che non esiste, che la signora Rowling ha inventato di sana pianta per raccontare una Casa che non esiste all’interno di una Scuola di Magia che non esiste. Traducilo tu, Hufflepuff, se sei capace. Scegli tu se sia meglio Tassorosso o Tassofrasso, ma fallo nel 1997, quando non hai idea di come proseguirà la storia.

Cambiamo scenario. Siamo nel 1999, i signori della Mondadori decidono di portare in Italia un romanzo fantasy scritto da George R. R. Martin qualche anno prima. Si chiamerà Il Trono di Spade. C’è un personaggio, Hodor, che nella versione inglese ha una particolarità: conosce una sola parola, appunto Hodor, e per questo viene chiamato così. Il traduttore editoriale decide di mantenere il nome anche in italiano. Significherà qualcosa, se l’autore ha deciso di dargli una backstory così strana, lasciamolo così. Nel 2016, prima ancora che la saga letteraria finisca, l’omonima serie tv rivela il vero significato di Hodor, e quel punto la scelta del traduttore di mantenere il nome originale si rivela sbagliata. Ma che ne sapeva, 17 anni fa, di cosa sarebbe successo a un personaggio che non esiste, in un mondo che non esiste, in un libro che deve ancora essere scritto?

Capite, adesso? Come può il traduttore editoriale conoscere i dettagli di un mondo che esiste solo nella mente del suo autore? Come può trasformare in parole comprensibili i nomi di personaggi, creature, luoghi che non esistono? Ve l’ho detto, è un lavoraccio.


Nuova traduzione Il Signore degli Anelli, le polemiche nerd

Diciamoci la verità: siamo nerd e non vediamo l’ora di poter fare polemica sulla prossima notizia del mondo della letteratura, della tv, del cinema e dei fumetti. Viviamo di questo. E quindi quanto siamo stati trepidanti, in attesa della nuova traduzione de Il Signore degli Anelli? L’opera somma del professore Tolkien, la bibbia del fantasy, la saga che ha dato il via a tutte le saghe, ha una nuova edizione, con tanto di nuove copertine e – tremate, tremate, una nuova traduzione.

Uscito da meno di 10 giorni, Il Signore degli Anelli in versione 3.0 ha scatenato le reazioni più contrastanti. C’è chi adora la nuova traduzione, apparentemente più fedele alle scelte linguistiche e filologiche di Tolkien e chi dice che no, il professore aveva approvato personalmente la prima traduzione (quella del 1967 firmata da Vittoria Alliata per Atrolabio) e odierebbe questa nuova versione, tradotta da Ottavio Fatica per Bompiani. Chi ha ragione?

Il “mondo condiviso”… dai fan

Ci sono opere che restano per sempre nascoste in un angolino della polverosa libreria di paese e non verranno mai discusse in pubblica piazza. Ci sono opere, come le 3 di cui abbiamo parlato (Il Signore degli Anelli, Harry Potter, Il Trono di Spade) che sono ormai entrate a far parte della cultura del nostro secolo. Una cultura pop, se vogliamo, ma pur sempre cultura. Un giorno queste tre saghe verranno studiate nei corsi di letteratura, di cinema, di sceneggiatura per la tv. Lo sono già, in qualche università pioniera in giro per il mondo. E quindi no, quel mondo fantasy di Hogwarts, di Westeros e della Terra di Mezzo non esistono più soltanto nella mente dei rispettivi autori. Esistono anche nelle nostre menti, fanno parte di quel “mondo condiviso” che non sempre è tangibile ma è comunque parte della nostra esperienza e della nostra cultura.

Nel nostro mondo, quello di noi fan più o meno accaniti, la Poesia dell’Anello è importante quanto l’Infinito di Leopardi. E l’Infinito di Leopardi mica lo riscrivi. Lo puoi analizzare alla luce di nuove scoperte filologiche e linguistiche, ma non lo puoi riscrivere. E non puoi riscrivere neanche la Poesia dell’Anello, né i nomi dei protagonisti del Signore degli Anelli, perché nella cultura italiana sono già presenti, sono arrivati nel 1967 con dei nomi e quelli restano. Come Hodor resterà Hodor in ogni futura edizione de Il Trono di Spade. Giusto?