maschilismo interiorizzato
Spread the love

Cosa vuol dire maschilismo interiorizzato (o sessismo interiorizzato)? In psicologia sociale gli stereotipi sono

Stampi cognitivi che riproducono le immagini mentali delle
persone o, in altre parole, i quadri mentali che abbiamo in testa
.

Cit. W. Lippman, 1922

Insomma, lo stereotipo nasce per dare un senso alla realtà, categorizzare l’immensa mole di informazioni a cui possiamo attingere in ogni dato momento e, in poche parole, non farci impazzire. Si tratta di una categorizzazione, una scorciatoia di comprensione della realtà senza la quale il nostro cervello semplicemente non funzionerebbe. E questo lo pensavano già nel 1922.

Stereotipi e categorizzazioni oggi

Se nel 1922 era già chiaro agli psicologi sociali che il cervello avesse bisogno di scorciatoie per capire e dare un senso alla realtà, pensiamo un po’ adesso. La mole di informazioni a cui siamo sottoposti è aumentata esponenzialmente e chi cerca di dare un senso a ognuna di esse finisce per soccombere. Semplicemente, il nostro cervello non ce la fa.

Questa la spiegazione psicologica. Da un punto di vista culturale invece, la questione è più complessa. Gli stereotipi in generale e il maschilismo interiorizzato in particolare sono la base, la struttura della società occidentale (e probabilmente, in maniera diversa, di tutte le altre società). Pensare in maniera maschilista o razzista non è una caratteristica personale: è un problema sistemico che coinvolge tutti e tutte, anche me, anche te.

Cos’è il maschilismo interiorizzato?

Si definisce “interiorizzato” uno stereotipo o una categorizzazione di cui la società è talmente permeata che i suoi membri non hanno bisogno di riflettere per metterli in atto. Per capirci: il fatto che un fiocco rosa alla porta indichi la nascita di una bambina è interiorizzato. Il nostro cervello elabora il significato di quel simbolo in modo automatico, non dobbiamo compiere nessuna elaborazione per capire che fiocco rosa = è nata da poco una bambina.

Ma possiamo scardinare il maschilismo interiorizzato nella nostra società? Certo, lavorando individualmente per decostruire i significati che sono “automatici” per il nostro cervello. Fermandoci a pensare al perché quell’elaborazione ci viene così spontanea e cosa nasconda. Il fiocco rosa per la nascita di una bimba è un nonnulla, ma tutto il resto? Il sessismo interiorizzato è ovunque.

Come scardinare il maschilismo interiorizzato

Lo stereotipo, soprattutto se non è personale ma sociale (ovvero condiviso da una grandissima fetta della popolazione per lunghissimi periodi di tempo) è difficile da modificare. Ci vogliono degli ingredienti che non tutti abbiamo a disposizione, tipo:

  • l’accesso a saggi femministi anche molto brevi e semplici, ma potenti;
  • le capacità cognitive per interpretare la realtà a un livello profondo e non superficiale;
  • molto tempo a disposizione per scavare nei significati nascosti di interazioni, comunicazioni e relazioni.

Per mia somma fortuna, ho tutte e tre le cose. Attenzione: questo non vuol dire che io sia particolarmente intelligente o sensibile. Semplicemente, ho un lavoro, uno stile di vita e dei privilegi che mi permettono di riflettere su questo tipo di argomenti. In fondo, sono una scrittrice e anche una studentessa di comunicazione.

Dal maschilismo interiorizzato non scappa nessuno, neanche una femminista

Mi definisco una femminista perché sono convinta che la nostra società sia permeata da un sistema patriarcale che si impone su ogni ambito della nostra vita. E desidero scardinarlo, una parola per volta. Una frase per volta, un articolo per volta, un libro per volta. Eppure… anch’io cado nella trappola del maschilismo interiorizzato.

Ecco un esempio perfetto. Sono a casa con mio marito e alcuni amici, mangiamo la pizza e stiamo per guardare una partita di calcio. Il discorso cade sull’arbitra che ha condotto la partita di calcio della sera prima e il mio amico dice:

Non voglio essere maschilista, ma Tizia ieri ha arbitrato proprio male. Poi non ha neanche i requisiti fisici che furono chiesti a me quando facevo l’arbitro, non è giusto che sia in serie A solo perché è una donna.

Al che io dico che sono d’accordo. A me il calcio piace, ma non sono una professionista né un’appassionata allo stesso livello del mio amico. Penso bon, se in effetti ha fatto degli errori clamorosi e non ha i requisiti fisici richiesti ai professionisti, questa donna non dovrebbe arbitrare in serie A.

Dove nasce l’inghippo?

C’è del maschilismo interiorizzato nella conversazione che ho descritto finora? A me sembra di no. Però arriverà, state tranquilli. Arriverà mentre guardiamo la partita di stasera. L’arbitro è un uomo, non ho idea di come si chiami. Guardo lo schermo di sfuggita ma seguo i commenti dei miei commensali. Sta sbagliando anche lui, ha fatto degli errori secondo gli stessi parametri per cui Tizia ha fatto degli errori la sera prima.

Eppure nessuno, neanche l’amico che conosce tanto a fondo i requisiti per gli arbitri professionisti, fa un commento simile a quello di prima. Cioè ok, l’arbitro sta sbagliando (sempre secondo la mia compagnia) ma nessuno dice

Tizio sta arbitrando proprio male. Poi non ha neanche i requisiti fisici che furono chiesti a me quando facevo l’arbitro, non è giusto che sia in serie A solo perché è un uomo.

Dei suoi requisiti fisici, se non sbaglio, nessuno ha parlato. Quanto è alto Tizio? Non ne abbiamo idea, non ce lo siamo chiesto, forse Google lo sa ma non glielo stiamo chiedendo. Quanto è alta Tizia? Non sappiamo neanche questo, ma abbiamo arbitrariamente (ahaha) deciso che sia troppo poco per i requisiti richiesti. Spoiler: ho controllato, è più alta di quanto avessimo ipotizzato.

Cosa c’entra tutto questo con il maschilismo interiorizzato?

Non credo che il mio amico sia un maschilista e non lo sono neanche io. Eppure, in quella conversazione abbiamo mostrato entrambi di avere dei preconcetti. Stavamo parlando come se fossimo assolutamente imparziali nel giudicare la prestazione professionale di Tizia. Non lo stiamo dicendo perché è una donna, ok, lo stiamo dicendo perché ha sbagliato.

Solo che anche Tizio ha sbagliato, e non lo abbiamo giudicato alla stessa maniera. O meglio, abbiamo cambiato parametro. Tizia è “un’arbitra che ha sbagliato e quindi non merita di fare il lavoro che fa”. Tizio è “un arbitro che ha sbagliato”. Punto. In fin dei conti, senza pensarlo, abbiamo detto che essere un uomo che non sa fare bene il proprio mestiere è comunque meno grave di essere una donna che non sa fare il proprio mestiere.

Come rimediare a tutto ciò

Non c’è una formula magica, purtroppo. Come appare chiaro io, che mi dichiaro una femminista e che penso di guardare una partita di calcio in maniera più oggettiva rispetto a una persona più appassionata di me, mi sono comunque fatta prendere dal maschilismo interiorizzato. Ho risposto di pancia, perché è quello che noi esseri umani facciamo per non impazzire e avere relazioni positive con gli altri esseri umani.

Solo che io non sono solo una donna, una moglie, un’amica (sigh!). Sono pure una scrittrice e una studentessa di comunicazione. E una femminista. Quindi il giorno dopo, con calma, mentre sto facendo altro, ripenso a quello scambio di frasi e capisco che è stato sbagliato. Qualcuno mi dirà che sono troppo cervellotica, che è una chiacchiera tra amici e basta. Io dico che se un medico può dedicarsi a migliorare il trattamento di una malattia; un ingegnere può dedicarsi a migliorare la costruzione di un ponte; chi lavora nella comunicazione può dedicarsi a migliorare la comunicazione e renderla più inclusiva. Che male c’è?

P.s. La situazione descritta è solo un esempio. L’argomento del post non sono io, né il mio amico, né Tizio né Tizia. State sereni.