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Ho letto L’Ombra del Vento per la prima volta nel 2007 e non l’ho mai dimenticato. Ci sono libri che leggo e ri-leggo almeno una volta l’anno (alcuni li conoscete: la saga di Harry Potter, quella del Trono di Spade, Mrs. Dalloway). Altri che, una volta passati per sbaglio tra le mie mani, non accennano più a scomparire dalla mia mente.

E sì: il primo volume della quadrilogia del Cimitero dei Libri Dimenticati è tra questi. Forse per la scomparsa di Carlos Ruiz Zafòn, o chissà per quale altro motivo, lo scorso Settembre l’ho riletto. Ed ecco com’è andata.

La prima volta con L’Ombra del Vento

Da ragazzina sempre con la testa tra le nuvole, a volte sognatrice e a volte ricercatrice di incubi, ci sono stati numerosi libri, film e serie tv che, secondo la mia famiglia, non avrei dovuto guardare quando ero appena adolescente. Dawson’s Creek, per esempio, o Sex and the City. Avendo una sorella maggiore, però, trovavo sempre un modo per accedere a quel mondo segreto che secondo mamma e papà mi avrebbe rubato l’innocenza.

Così è successo con L’Ombra del Vento. Il libro di Zafòn è comparso sulla libreria di mia sorella nel suo anno di arrivo in Italia, il 2007 più o meno. Mi è stato subito indicato come uno di quei libri non adatti alla mia età. La copertina parlava di una “Barcellona misteriosa” e di un “Cimitero dei Libri Dimenticati“. Queste due espressioni, unite al divieto di leggerlo e all’attrattiva del dorso color carta di zucchero, hanno reso impossibile che non lo aprissi di nascosto.

Dopo poche pagine mi ero già resa conto di quanto fosse, effettivamente, un libro non adatto a me. Se adesso che ho 28 anni, sono una donna sposata e ho un lavoro e una casa tutta mia, fatico a leggere o a guardare i thriller, nella prima adolescenza questi erano per me pura fonte di terrore. Avrei dovuto chiudere quel libro e rimetterlo sullo scaffale della libreria. Ma ovviamente non lo feci.

Amore e terrore

Pagina dopo pagina, frase dopo frase, quel signore spagnolo il cui nome mi risultava un po’ ridicolo conquistava la mia anima a colpi di terrore. Ma non era solo il mistero de L’Ombra del Vento a tenermi incatenata a quel libro.

Ve l’ho detto: ero una ragazzina strana, perennemente in bilico tra il paese delle fate e i testi dei Placebo. A 11 anni preferivo Moulin Rouge! e il suo tragico finale tutto assenzio e tubercolosi a Harry Potter e la Pietra Filosofale. Ero un’anima decadente intrappolata nel viso di una ragazzina innocente e brufolosa, che covava in sé già la scrittrice maledetta che sarei diventata (per inciso, non sono esattamente una scrittrice e di certo non sono maledetta, ma a volte la convinzione è ciò che conta davvero).

Insomma, ho letto L’Ombra del Vento e, nonostante avessi già un nutrito curriculum da lettrice di tragedie, molte cose non le ho capite. Le allusioni sessuali di Fermìn rimbalzavano la mia mente da angioletto, i riferimenti alla Guerra Civile Spagnola non li coglievo proprio. Ma le figure di Lain Coubert e dell’Ispettore Fumero mi terrorizzavano. Il mistero del personaggio di Julian Carax, quello scrittore maledetto che viveva in un bordello a Parigi (molto Moulin Rouge, vero?) mi affascinava come nulla nella vita.

La morte di Penelope Aldaya avrebbe infestato i miei giorni e le mie notti per mesi. Non sono che un angolino di una trama attorcigliata, una parentesi, un paio di frasi all’interno del romanzo, ma non le ho mai dimenticate.

Se un medico avesse assistito al parto, forse avrebbe potuto fermare l’emorragia che uccise Penélope mentre lei graffiava la porta sbarrata urlando e dall’altra parte dell’uscio suo padre piangeva in silenzio e la madre lo fissava terrorizzata.

L’Ombra del Vento, C. R. Zafòn

La magia delle parole di Zafòn

Più che le immagini estremamente grafiche, gli omicidi, i corpi consumati dal fuoco, dalla vendetta e dal dolore, un’altra cosa si è impressa in me per sempre nella lettura de L’Ombra del Vento.

Il modo in cui Carlos Ruiz Zafòn usava le parole. Non conosco lo spagnolo, ma riuscivo a immaginare come potessero suonare quelle frasi nella lingua madre dell’autore. Già dalla traduzione italiana alcune espressioni rimanevano per sempre impresse nella mente e da allora alcune parole, per me, sono per sempre legate tra loro perché Zafòn le usa insieme.

Penombra azzurrata – creatura degli abissi – dimenare le vergogne – poeti maledetti. Eh lo so, mica è stato lui il primo a mettere insieme queste parole. Ma forse è stato il primo a mostrarmene la magia.

Ri-leggere L’Ombra del Vento da adulta

Adesso che Zafòn è morto, mi sono detta a settembre (e pace all’anima sua), le sue parole non possono più fare male. Posso rileggere i suoi romanzi con la consapevolezza di una donna adulta. Non sapevo in cosa mi sarei cacciata.

Ho comprato l’intera quadrilogia de Il Cimitero dei Libri Dimenticati (di cui avevo letto solo i primi due volumi). Più Marina, perché al liceo io e la mia compagna di banco riscrivevamo interi paragrafi di quel libro sui diari ed eravamo assurdamente innamorate dei suoi protagonisti.

Nel rileggere L’Ombra del Vento, mi sono accorta di ricordare intere pagine a memoria e non solo: di rivivere esattamente le stesse sensazioni. Mentre leggevo sul mio divano, a casa mia, con mio marito seduto accanto a me, inspiegabilmente si compivano di nuovo il terrore e la magia. La Giovanna di 28 anni, adulta e più abituata a leggere di omicidi e sangue, diventava la Giovanna adolescente che aveva i conati di vomito al solo sentirne parlare. E lei diventava Daniel, alla ricerca del proprio destino nel Cimitero dei Libri Dimenticati, e Daniel diventava Julian, alla ricerca della propria vendetta tra il dolore e il fuoco dei suoi incendi di libri.

Il mio libro preferito?

No, L’Ombra del Vento non è il mio libro preferito. E la saga di Carlos Ruiz Zafòn, che sto finendo proprio in questi giorni, mi ha appassionata ma non credo che la rileggerò. Eppure c’è qualcosa tra quelle pagine, qualcosa che mi fa terrorizza e mi fa paura e mi attrae irresistibilmente. Forse è solo la magia dei libri.