Mansplaining è una parola che arriva dalla sincrasi di due termini inglesi: man (uomo) ed explaining (spiegare). Reso celebre dal libro di Rebecca Solnit “Gli uomini mi spiegano le cose”, racconta il fenomeno tipico di un uomo che spiega a una donna cose che sa già. O, meglio ancora, cose che conosce molto meglio di lui. Insomma, è una delle tante incarnazioni del maschilismo. Ma non solo. Come scopriremo in questo favoloso viaggio, oggi è una pratica comune.
Le persone mi spiegano le cose sui social
E uno direbbe pure Che bello, impariamo tutti cose nuove così, giusto? Sbagliato. Perché capita che chi venga sul tuo profilo a spiegarti qualcosa (che sono uomini e donne eh, però devo dire più spesso uomini) non ne sappia nulla. Oppure ti dica una cosa talmente ovvia, talmente basilare che spiegartela significa prenderti per scema. Ecco da dove nasce il fastidio verso il mansplaining: se stiamo parlando di astrofisica e tu sei un astrofisico, mi fa piacere sentire le tue opinioni su cose che chiaramente non conosco. Ma se – esempio del tutto casuale – stiamo parlando di linguistica e tu fai il carpentiere, il discorso è diverso. Il punto è: quando possiamo permetterci di “spiegare cose” sul web”?
Content creators e mansplaining
Ok ok, partiamo dalla base. Perché, per esempio, io ti sto spiegando cosa sia il mansplaining? Perché sono una content creator, scrivere contenuti sul web è il mio lavoro. Non solo: sono anche una persona che studia comunicazione e anche una persona appassionata di femminismo. Capirai che scrivere un contenuto che riguarda il mansplaining sui social media è la mia vocazione e che comunque ne so abbastanza. Ho studiato, ho letto libri di autrici e autori femministi di diversa estrazione sociale, provenienza geografica e periodo storico, ho seguito un corso sulle discriminazioni intersezionali. So tutto sull’argomento? No, altrimenti farei la ricercatrice in Studi di Genere in qualche prestigiosa università. Ma ne so più di un avvocato specializzato in diritto penale che legge solo libri gialli? Sì. Non si tratta né di superiorità né di cattiveria. Ho tre cose che lui non ha:
- Esperienza diretta in quanto donna.
- Conoscenza delle micro aggressioni che non subisco, in quanto lettrice di saggi femministi.
- Conoscenza dei pattern di comunicazione perché studio e lavoro in questo settore.
Allora il diritto d’opinione e di espressione?
Sacrosanti stellina, non te li toglie nessuno. Solo non venire a raccontarmi che in italiano è più corretto dire “avvocato donna” che “avvocata” se tu fai l’idraulico e io studio linguistica. Vuoi continuare a dire e scrivere “avvocato donna”? Fallo, chi ti dice niente, ma stai sbagliando. Hai il diritto di sbagliare e io ho il diritto di dirti che la linguistica non funziona come pare a te. Fin qui tutto chiaro, giusto? Sto cercando di rendere il concetto più semplice possibile. Anzi, se vuoi/puoi aggiungere qualcosa, ti aspetto nei commenti.
Il mansplaining becero di chi pensa che tu sia scema
Ora, se un chirurgo plastico vuole venire a spiegarmi come mai “chirurga” gli suona male io posso rispondergli, spiegargli che ho più competenze di lui negli ambiti specifici (femminismo e linguistica). Se vuole darmi ragione o torto, se vuole cambiare idea e chiamare le sue colleghe correttamente oppure no, non è affar mio. Faccio quel che posso nel mio lavoro di creatrice di contenuti e divulgatrice di cose che mi interessano e stop. Ma se qualcuno viene a spiegarmi che 2 + 2 fa 4, mi sta letteralmente prendendo per scema.
Lo sapevi che 2 + 2 fa 4?
Ed ecco il tipo di commenti che mi fa imbestialire di più quando faccio divulgazione sui temi a me cari (femminismo, linguistica, comunicazione, malattie croniche) o anche, semplicemente, racconto sui social una mia esperienza. Ti faccio un esempio che cade proprio a fagiuolo in questi giorni. Sui miei social, soprattutto Instagram e Threads (mi trovi come @sbirilla_) ho commentato la questione università telematiche vs. università tradizionali. Complessa e sfaccettata, non è una questione di cui possa parlare a pieno titolo perché non sono un’insegnante. Sono però una studentessa e ho frequentato sia un’università pubblica tradizionale che una privata telematica. Ho quindi raccontato la mia esperienza, senza alcuna pretesa di universalità. Questo è solo uno dei mille commenti simili che ho ricevuto:
Mansplaining livello base
Tu, mio adorato commentatore, tu pensi davvero che a 30 anni, con una casa, un marito, un lavoro, una precedente esperienza universitaria e tutto lo scibile umano a portata di smartphone io non abbia pensato di informarmi prima di iscrivermi all’università? Cioè proprio non mi è passato manco per l’anticamera del cervello, secondo te, di andare presso l’istituto più vicino a casa mia o semplicemente sul sito web dell’università e informarmi se il corso di mio interesse prevedesse la frequenza obbligatoria? Ripeto, questo è uno di mille messaggi uguali. Li trovi su Threads e, anche se ho cancellato il nome, non è una presa di mira verso la specifica persona che lo ha scritto. Faccio un discorso più generale.
O sei scemo tu, o sono scema io
Il Thread in questione spiegava che per i miei problemi di salute non avrei potuto seguire le materie a frequenza obbligatoria del corso magistrale in Comunicazione Digitale a Padova, così amando studiare ho preferito iscrivermi all’università telematica, pur conoscendo bene le differenze tra le due esperienze di studio. Tonnellate di risposte riportavano frasi come questa:
Intanto “punto” lo dici a tua sorella, perché ti sei preso la briga di venire sul mio profilo a commentare e non decidi certo tu quando finisce la discussione. Poi pensi davvero, anche tu, che non abbia controllato se ci fossero atenei universitari nella mia città o nelle vicinanze? Due sono le cose: o sei scemo, o stai prendendo per scema me. E io non te lo permetto, non a “casa” mia.
Come ci si salva dal mansplaining?
Intanto accettando che è una realtà. Non si tratta neanche solo di uomini, ti ripeto. Qui ho parlato al maschile e la maggior parte dei commenti che ricevo vengono da uomini o persone che si identificano come uomini. Ma ciò non toglie che anche molte donne facciano la stessa cosa. Io credo sia uno stupidissimo, piccolo, microscopico sfoggio di potere là dove queste persone sentono di averne: sui social, nascoste dall’anonimato o comunque dallo schermo del pc. Ci si salva? No. L’unico modo per evitare che qualcuno venga a puntarti il ditino in faccia dicendoti Lo sapevi che 2 + 2 fa 4? è non interagire mai più con nessuno. Perché poi avviene anche fuori dai social.
Quindi che si fa?
Niente. Se, come me, la tua natura è farti un’opinione precisa e articolata sulle cose ed esprimerla, continuerai a farlo. Se, per mestiere o per attitudine, scrivi tanto sui social, continuerai a farlo. Non sarebbe neanche giusto dirti di smetterla. Quello che posso dirti è quello che mi dice la mia psicologa:
Non puoi insegnare agli altri come essere migliori. Puoi accettare quello che sono e tenerli nella tua vita, provare a dialogare spiegando il tuo punto di vista, oppure eliminare i contatti che non ti portano nessun beneficio.
Il che si traduce in: utilizza più spesso il tasto “blocca”.