Il libro di Anita Diamant, scritto nel 1997 e recentemente ri-edito in italia da Edizioni Tlon, è una delle letture più belle che abbia fatto quest’anno. Una storia di sangue e di magia, di sorellanza e dei riti che legano le donne alla terra, di religione e di patriarcato. Niente di ciò che viviamo oggi in Occidente potrebbe essere paragonato all’atmosfera narrata in La tenda rossa, eppure il romanzo ha tanto da raccontarci.
Di cosa parla La tenda Rossa?
Il romanzo segue Dina, l’unica figlia femmina di Giacobbe e figura biblica appena accennata nella storia ufficiale delle religioni monoteiste. Dina racconta in prima persona le generazioni di donne che hanno abitato la tenda del titolo, a partire dalle sue madri. Sì, perché Giacobbe ebbe quattro mogli (due ufficiali e due “di rango inferiore”, ovvero schiave che facevano parte della loro dote). Lia e Zilpa, Rachele e Bila (la cui storia era già stata usata da Margaret Atwood in Il Racconto dell’ancella) sono in realtà tutte sorelle.
Se la Bibbia racconta la nascita dei molti figli di Giacobbe concentrandosi sui maschi e sull’infertilità di Rachele, qui la storia ha un punto di vista tutto femminile. Vero che Rachele, come racconta la Bibbia, era sterile e chiese a Bila (sua schiava, ma anche sua sorella) di giacere con il marito per donarle un figlio. Vero anche che le due partoriscono “insieme”, come vediamo in Il Racconto dell’Ancella.
Nella tenda rossa però non ci sono differenze tra le donne. All’interno dell’accampamento di Labano, odioso suocero di Giacobbe e padre di tutte le sue mogli, la tenda rossa è il loro luogo segreto. Qui si compie la vita, nascono di figli, le donne riposano durante il periodo del ciclo in cui celebrano il sangue mestruale come sacrificio alle loro dee.
Questo è un romanzo femminista?
In parte. Se è pur vero che alcune delle mogli di Giacobbe sono schiave, e anche quelle di rango superiore si aggirano per gli accampamenti solo per cucinare e lavorare, le donne sono vere protagoniste. Poco spazio viene dedicato ai molti fratelli di Dina. Solo Giuseppe (Il Re dei Sogni dell’omonimo film animato e figlio di Rachele, arrivato dopo anni di infertilità) è tra i personaggi principali dell’infanzia di Dina, perché suo fratello di latte.
Per il resto, le donne sono le vere protagoniste della storia. Tutto ciò che esista di importante avviene dentro la Tenda Rossa, luogo mistico che rappresenta la separazione delle donne dagli uomini, ma anche il loro potere segreto. Le donne hanno il ciclo tutte nello stesso momento, perfettamente allineato al ciclo lunare. Quando il sangue mestruale arriva, si ritirano nella tenda rossa a cui gli uomini non hanno accesso.
Qui cantano, ballano, mangiano dolci, si raccontano storie che agli uomini sono precluse. Celebrano il rito sacro del riposo mestruale come momento di vera sorellanza, dove non ci sono distinzioni tra mogli ufficiali e mogli di rango inferiore, e anche le mogli e le figlie degli schiavi sono accolte.
Il sangue mestruale come simbolo del potere femminile
Nelle tende di Labano e poi di Giacobbe, le donne sono paria. Non mangiano insieme agli uomini, non lavorano con loro alla gestione greggi, non possono esprimersi davanti agli uomini, se non per tramite del marito. Eppure, dentro la tenda rossa il potere è tutto loro. E non si fanno scrupoli ad esercitarlo per i loro interessi.
La scaltra ma deforme Lia, nata con due occhi di colore diverso, ordisce la trama per sposare Giacobbe prima della bellissima Rachele. Quest’ultima, a sua volta, vive il dolore della sterilità e lo trasforma, diventando levatrice per le sorelle, le amiche e tutte le abitanti dei villaggi vicini. Spirituale e profondamente devota, Zilpa pratica il culto degli dei della terra, sottraendosi alla religione monoteista di Giacobbe. Bila, sensibile e affettuosa con tutti, vive in segreto l’amore impossibile per il nipote.
La tenda rossa, ombra e luce della vita femminile
All’interno della tenda dedicata alla luna nuova, e quindi al ciclo femminile, le donne esercitano il potere, tramano inganni alle spalle del padre, combinano matrimoni. Le donne, soprattutto, sono libere di raccontarsi. Questo è il potere più forte che si sprigiona nella tenda: quello della parola. Per questo, nonostante il ruolo spirituale della matriarca biblica, Dina si trova in difficoltà nel tempio della nonna Rebecca. Qui le donne parlano poco, ridono meno, non celebrano la loro femminilità.
La tenda rossa è invece il luogo in cui la femminilità esplode, si parla liberamente di sessualità e piacere femminile. Le donne raccontano gli incontri con il marito e si scambiano pettegolezzi sui figli maschi, così distanti. Nella tenda rossa le donne celebrano il loro potere unico di donare la vita, celebrano il sangue mestruale che scorre verso la terra e diventa fertilizzante per un raccolto propizio.
Gli uomini della tribù di Giacobbe
Nonostante abbiano un rapporto continuo con gli animali (gli schiavi arrivano addirittura a usarli per sfogarsi sessualmente), gli uomini sono separati dalla natura. A loro spetta muoversi nel mondo maschile, fatto di commerci e di lavoro nei campi e nei pascoli, di conti e di accordi. La natura è tutta femminile, e per questo le donne sono per assurdo più libere.
Possono sfogare le loro emozioni, legare il culto della natura al ciclo del loro corpo, parlare liberamente di qualsiasi cosa che in pubblico sarebbe sconveniente. I tre giorni di “clausura” nella tenda rossa potrebbero essere giorni di segregazione e vergogna. Invece diventano un’occasione. Occasione di raccontarsi, per esempio, visto che le donne non sono ammesse al tavolo dei pasti e non hanno modo di comunicare le loro storie. Con il ritiro nella tenda rossa, oltre a riposarsi, colgono l’occasione per narrare le loro storie, quelle delle loro madri, quelle delle loro divinità, alla generazione successiva.
La tenda rossa è la storia del patriarcato e di come sconfiggerlo
Senza fare eccessivi spoiler, il personaggio di Dina è destinato a una brutta sorte nella Bibbia. Viene stuprata da un uomo di una città vicina e, per vendicarla, i fratelli si macchiano di genocidio meritando la maledizione di Giacobbe. Nel romanzo La tenda rossa, Anita Diamant immagina una storia diversa seppure ugualmente dolorosa. Le donne non hanno scampo, nel romanzo come nella vita vera. Tutte quelle che si incontrano nel corso del corposo libro soffrono atroci patimenti.
Allo stesso tempo, però, le donne stesse hanno l’antidoto al patriarcato. Lo hanno scoperto all’interno della tenda rossa: è la sorellanza. Possono fare di sé stesse il tramite per non perdere le nozioni che conoscono, quelle scientifiche legate al lavoro delle levatrici e quelle magiche e spirituali. I loro sacrifici alla Grande Madre, il legame tra il sangue e la terra, i riti propiziatori per la nascita di figli robusti che sono il contraltare dei tanti aborti spontanei e morti prematuri.
Il grembo delle donne
La tenda è metafora per il grembo delle donne e allo stesso tempo luogo in cui quel grembo è onorato, rispettato, celebrato come dovrebbe. Che sia carico di un figlio, stia espellendo il sangue o sia sterile e senza speranze, il corpo femminile assurge a elemento sacro della vita nomade, in contrapposizione alla religione monoteista. Questa, portata alle figlie di Labano da Giacobbe, è una religione fatta dagli uomini per gli uomini. E si tramanda in tutte le religioni monoteiste che dalla sua tribù scaturiscono.
Da cattolica credente e femminista, leggere La tenda rossa è un colpo al cuore. La riscoperta di come il mio stesso corpo non sia vergonoso, spaventoso o impuro. Gli uomini lo hanno reso tale, per nascondere e segregare il potere delle donne. Per impedire che le loro storie venissero raccontate e la loro scienza diffusa e celebrata come quella “ufficiale”, ovvero maschile.
Chissà, se le storie di Rachele, Dina e le altre avessero avuto la possibilità di raccontarsi e di mescolarsi agli uomini da pari a pari, cosa sarebbe successo. Forse non saremmo rimaste Invisibili tanto a lungo.