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A quasi un mese dalla sua uscita al cinema (e quasi due dalla sua presentazione al Festival di Venezia 2019), appare chiaro come Joker sia il film dell’anno. E per svariati motivi. In Joker malattia mentale e studio sociologico sono i pilastri della narrazione.

Il film Joker mette d’accordo pubblico e critica

E non è mica una cosa da poco. I cinecomics sono amatissimi (fin troppo) dal pubblico, ma che vengano acclamati da critici e giornalisti è tutta un’altra storia. Il Joker del 2019 ci riesce, guadagnando il Leone d’Oro come miglior film al Festival di Venezia, il primo posto come film vietato ai minori di maggior successo nella storia del cinema e numerosissime recensioni.

Tutti ne parlano, tutti lo amano, qualcuno paventa il rischio d’emulazione dietro l’angolo. Una critica debole, che se proprio vogliamo andrebbe fatta ad almeno metà della produzione cinematografica, letteraria e televisiva della storia dell’umanità. Quindi lasciamola da parte. Semmai chiediamoci perché questo personaggio ha tanta presa, perché in un mondo di supereroi amiamo tanto Joker, cosa rappresenta?

Joker e la malattia mentale, il vero fulcro della storia

Tra tutti i villain dei fumetti, il Joker ha sempre avuto un ruolo predominante. L’inquietante maschera del clown violento e vendicativo ha ispirato innumerevoli racconti e versioni sullo schermo, da quelli più fumettosi degli anni ’80 e ’90 a quello intenso, spaventoso e cupo di Heath Ledger ne Il Cavaliere Oscuro. Todd Phillips e Joaquin Phoenix, splendido interprete del Joker 2019, portano il personaggio a un livello di realismo ancora più marcato, legandolo indissolubilmente a quella follia che è sempre stata parte del suo personaggio ma che qui ne diventa caratteristica totalizzante.

Joker non è un eroe, non lo è mai stato, ma c’è di più: qui non è neanche propriamente il cattivo. Non ci sono strani esperimenti chimici a trasformarlo, non c’è il supereroe da combattere, non ci sono mostri con cui allearsi. Solo i propri demoni interiori. Arthur Fleck, ovvero Joker, è la vittima sacrificale di una società malata che odia i malati. I disturbi psichiatrici, suoi e della madre Penny, appaiono dolorosamente reali, pervadono l’intero film, al punto che quella risata maniacale risuona in testa per giorni dopo averlo visto. La risata del Joker. Anzi, la risata di Joker, senza l’articolo, perché non è mai chiaro se quello che vediamo al cinema sia realmente il cattivo di Batman o solo il simbolo che lo ha ispirato.

Joker è uno studio sulla malattia mentale, sulla lenta e inarrestabile discesa agli inferi di chi non ha un contatto con la realtà e non ha un ponte per raggiungerla. Adottato e poi abusato da una madre altrettanto disturbata, ignorato dagli assistenti sociali, deriso dai conduttori tv e perfino dai delinquentelli di strada, nulla può salvarlo dal suo baratro. La discesa è ripida, scandita da musica da crooner e lenti passi di danza (in gran parte improvvisati dal geniale Joaquin Phoenix). Ma è reale? Gli omicidi, di volta in volta sempre più efferati, la rivolta, le luci della ribalta come simbolo di un’intera città di derelitti, sono cose accadute veramente o solo nella testa di Joker?

I personaggi come Joker e la società che li circonda

A metà strada tra Taxi Driver e V per Vendetta, il Joker di Todd Phillips diventa simbolo dietro il quale si riunisce tutta la massa di poveri, bistrattati, disperati abitanti di Gotham City. Gli stessi che all’inizio del film lo picchiavano e deridevano.

Se lo studio psicologico su Joker rimane sempre il fulcro del film, il suo intento sociologico resta più nebuloso. Davvero è possibile che un’intera città si rivolti contro l’alta società di Gotham City dopo un solo gesto violento compiuto da una sola persona? Gesto, tra l’altro, non di particolare impatto o significato sociale: tre lavoratori di Wall Street vengono uccisi da un uomo truccato in metropolitana. Nonostante la sua drammaticità, non dovrebbe essere una notizia così sconvolgente, nella solitamente violenta Gotham. Dei tre uomini non scopriremo mai neanche i nomi. Perché tutta la città si riunisce dietro questo triplice omicidio e innalza ad eroe il suo fautore? Il film non lo chiarisce mai, volutamente.

E interpretare la trama a livello sociologico sembra aver diviso la critica, questo sì. Si tratta di un generico quanto banale messaggio uniamoci-tutti-contro-la-casta, di una critica contro la facilità con cui le masse scivolano nella violenza, di uno studio sociale sull’eterna dicotomia ricchi vs. poveri o cosa? Forse nessuna di queste cose. Forse è solo un’altra fantasia di Arthur Fleck, come il voler credere a tutti i costi che la bella vicina di casa lo veda come un eroe e non come un uomo pericoloso da tenere alla larga dalla sua bambina.

Joker malattia mentale o malvagità pura?

Attenzione signori: qui Joker non è il cattivo classico dei fumetti ma è, innegabilmente e senza dubbio alcuno, un cattivo. E se qualche spettatore ha interpretato questo film come una consacrazione ad eroe del derelitto che si vendica contro la società che lo ha sempre bistratto, mi dispiace ma credo si sbagli.

Joker è cattivo, è un serial killer. Joker è la genesi di un assassino, il fallimento di una società che non sa trattare i malati di mente e li porta a due soluzioni: l’isolamento o la violenza. Il film non esalta, non glorifica, non giustifica gli omicidi e l’efferata violenza di Arthur Fleck. Ne spiega la genesi. Ci mette in guardia. La parte peggiore di avere una malattia mentale è che la gente si aspetta che tu finga di non averla. E così sprofondi nel baratro, nella violenza, nella disperazione. Joker non è una storia di rivalsa, è una storia di disperato dolore. Ed è per questo che lo amiamo. Perché ci sentiamo simili a lui, in qualche modo tutti vittime, e cerchiamo di giustificare il nostro essere carnefici. Perché siamo tutti più simili a Joker che a Batman, come scrive intelligentemente Claudia Catalli su Wired.