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JK Rowling e la transfobia è il tema della settimana. Riuscite a crederci? In un mondo in piena pandemia, con una crisi economica di portata storica che bussa alla porta e una rivolta razziale che sta cercando di cambiare il volto del mondo, l’autrice di Harry Potter ha ben pensato di lanciare un saggio in cui spiega il suo punto di vista sui trans. Punto di vista che, per inciso, nessuno le aveva chiesto.

JK Rowling e la transfobia: cosa è successo?

La storia è vecchia di almeno un anno e parte da diversi tweet di JK Rowling in cui, in un modo o in un altro, ha sempre mostrato la sua appartenenza al cosiddetto TERF (Trans-Exclusionary Radical Feminism ovvero Femminismo Radicale che esclude i trans). Una posizione sociale e politica veramente pericolosa che rischia di scardinare la base stessa del femminismo: femminismo è inclusività, eguaglianza, parità. Escludere chiunque sulla base della propria identità sessuale è, a mio parere, contrario all’essere femministi. Ma ci sono numerose posizioni in merito e non spetta a me parlarne.

Rispondendo al lungo saggio di JK Rowling e la transfobia (in cui l’autrice inserisce tesi da tempo smentite, come quella che molte donne effettuino la transizione per sfuggire alle violenze di genere, o quella in cui gli uomini effettuino la transizione per accedere più facilmente agli spazi femminili allo scopo di perpetrarle), la persona che ha fatto il discorso più sensato a mio avviso è Daniel Radcliffe. Harry Potter in persona, uno che fino ad ora non mi aveva mai colpito per il proprio impegno sociale e politico (al contrario, per esempio, delle colleghe Emma Watson ed Evanna Lynch). L’attore che interpreta Harry Potter nella saga cinematografica ha inserito nella sua risposta a J.K. Rowling sui trans una frase piccina picciò che cambia la prospettiva su tutto: Le donne transgender sono donne. Ogni affermazione contraria cancella l’identità e la dignità delle persone transgender e va contro i consigli delle associazioni sanitarie che sono ben più esperte al riguardo di me o di Jo“. 

La chiave di volta

Avete trovato le paroline magiche in questo estratto? …associazioni sanitarie che sono ben più esperte al riguardo di me o di Jo. Eccola lì, la chiave: la questione dell’identità sessuale è estremamente complessa, estremamente personale, estremamente delicata. Come può, qualcuno che non ha vissuto in prima persona il percorso di transizione, che non è mai stato discriminato per la propria identità sessuale, che non ha svolto ricerche psicologiche, scientifiche e sanitarie, giudicare un tema così sfaccettato? Non può. O meglio, è libero di farsene un’opinione, ma la sua opinione conta quanto quella di un carpentiere sull’esistenza o meno del coronavirus: non è il suo mestiere, non è la sua esperienza, è un’opinione senza fondamento che non vale nulla. Però, c’è un però. JK Rowling ha modellato le vite di generazioni e generazioni di ragazzi (cisgender e non) con i suoi romanzi di Harry Potter. Ci ha insegnato a distinguere il bene dal male, a non discriminare nessuno, ad accettare noi stessi e la magia che scorre potente e rappresenta la nostra unicità. Come possiamo accettare che quella stessa persona sia transfobica a un livello più o meno profondo, più o meno consapevole?

La morte dell’autore: Harry Potter non appartiene a JK Rowling

Harry Potter non appartiene a JK Rowling. Né nessuno dei personaggi della saga, né nessuno dei messaggi che abbiamo colto dalla saga, né, soprattutto, il nostro rapporto con essa. Come è possibile? 

Il primo a parlare di morte dell’autore è stato il critico letterario Roland Barthes. “la scrittura – scrive Barthes nel suo saggio intitolato proprio La morte dell’autoreè la distruzione di ogni voce, di ogni origine. […]non appena un fatto è raccontato, […]l’autore entra nella propria morte“.

Si tratta di una filosofia estrema, ma nella quale io credo ciecamente. Una volta che l’opera è pubblicata, il suo autore sparisce dal messaggio. O meglio. Certo è l’autore, è JK Rowling (con l’aiuto degli editor, dei correttori di bozze, dei traduttori) che ha scelto la storia da raccontare e ogni parola usata per raccontarla. Ma una volta che quella storia si trova nelle nostre mani, siamo noi a comporre il messaggio. Il nostro incontro da lettori con l’opera che stiamo leggendo, filtrata attraverso la nostra cultura, le nostre esperienze, le nostre tradizioni e convinzioni, le nostre emozioni e sensazioni, crea un’opera completamente diversa per ognuno di noi. Così mentre io leggo Harry Potter il libro si trasformerà e sarà diverso da quello che leggi tu, da quello che legge una persona dall’altra parte del mondo, e certamente diverso da quello che ha scritto JK Rowling. Vale per ogni opera letteraria e, in senso lato, per ogni opera artistica. Una volta che si trova tra le mani del pubblico, l’opera appartiene al pubblico e ad ogni singolo componente dell’audience. 

 


Come cambia il mio rapporto con Harry Potter?

Non cambia, ragazzi. Non cambia perché nel momento in cui ho cominciato a leggere la prima frase del primo libro di Harry Potter, la voce di JK Rowling era già sparita. Insieme alle sue convinzioni politiche, sociali e religiose. Se ci pensate e analizzate il comportamento dell’autrice, e soprattutto i tweet di JK Rowling sulla sua opera, è chiaro che lei non ha mai accettato la filosofia della morte dell’autore. Sta sempre lì, fin dal primo giorno della sua presenza sui social network, a puntare il ditino contro i suoi fan e dirci che no, non dovremmo amare questo o quel personaggio. No, non è così che va interpretata quella scena. No, non possiamo immaginare due personaggi insieme se lei non li ha pensati insieme. Peccato, davvero, che i fan (e le fangirl/i fanboys) vivano di questo. E quanto è bello? Riuscire a cogliere da un’opera letteraria, cinematografica, televisiva, un significato o un’emozione al quale l’autore non aveva mai neanche pensato?

Questa storia è difficile per tutti gli autori, lo sappiamo. Certo, non sappiamo come reagirebbe Alessandro Manzoni se sentisse le tantissime analisi che facciamo, 200 anni dopo, sui personaggi e le scene de I Promessi Sposi. Ma sappiamo come la vive JK Rowling così come tutti gli autori che, a cavallo tra gli anni ’90 e 2000, sono diventati dittatori onnipotenti dei propri mondi immaginati. George Lucas è impazzito, dando libero sfogo alla fantasia dei suoi fan per poi cancellarne ogni idea e trasformarsi lui stesso nell’unico Imperatore della sua Galassia Lontana Lontana. E sappiamo come è finita. George R. R. Martin sostiene di essere completamente indifferente, anzi insofferente, alle fan fiction e alle teorie dei lettori su come finirà la sua saga. Neanche le legge, dice. Eppure è impantanato da 10 anni nella stesura del sesto libro e chissà se lo finirà mai. Forse perché le legge, quelle teorie e quelle fan fiction, ed è super confuso. O forse no. Non lo so. So che sicuramente è difficile per un autore vedere i propri “figli” in mani altrui. Ma è quello che succede, quando decidi di pubblicare e mostrare i tuoi “figli” al mondo. 

JK Rowling e la transfobia: è un mio problema?

Il punto è che non è un nostro problema. Noi lettori non c’entriamo niente. La community internazionale del fandom di Harry Potter è uno dei mondi virtuali (e reali) più inclusivi in cui mi sia mai capitato di imbattermi. I personaggi della saga sono così diversi e così potenti che alcuni di essi sono usciti dalle pagine e hanno invaso la nostra vita, modellato la nostra personalità. Indipendentemente dalla questione JK Rowling e la transfobia. E questo è bellissimo, e questo deve continuare: Hogwarts è la casa in cui vengono accolti quelli strani, diversi, discriminati nel mondo Babbano. La casa in cui scoprono che la loro diversità è una magia potente e imparano ad imbrigliarla e a usarla per il bene o per il male. Questo ce lo hanno insegnato i libri di Harry Potter, non la loro autrice

 

 

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