Harry Spare vittima manipolatrice
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In questi pazzeschi giorni in cui un Harry inglese ha scalzato da tutte le classifiche mondiali quell’altro Harry inglese (sì, Spare ha venduto in un giorno quanto l’ultimo volume di Harry Potter o poco meno), abbiamo la possibilità di riflettere. Non sul libro del principe Harry, che a parte il costo esorbitante mi sembra anche parecchio cringe, ma sulla nostra natura di esseri umani. Siamo tutti vittime e carnefici. E possiamo diventare una vittima manipolatrice che fa del male letteralmente a tutti. Harry e Meghan ci stanno offrendo in questi mesi un’opportunità dopo l’altra per rendercene conto.

Harry, la vittima

Attenzione bambini, qui non si fa victim blaming. Harry è una vittima. Lo è da diversi punti di vista. Vittima della morte violenta di sua madre quando era solo un bambino, vittima del divorzio in mondovisione dei suoi genitori, vittima di un ruolo che non ha scelto e non avrebbe voluto. Spare, appunto. Che non significa esattamente “il minore” ma si riferisce a un detto prettamente inglese (e prettamente monarchico/aristocratico). “The heir and the spare” è un modo di dire che i reali e gli aristocratici hanno bisogno di fare almeno due figli per assicurare la continuità della dinastia. Un erede (heir) e un altro (spare) che entrerebbe in linea dinastica se al primo succedesse qualcosa. Brutale, lo so, ma è la monarchia baby. E non siamo qui per parlare di questo.

Harry, il manipolatore

Bene, stabilito che Harry è una vittima in diverse circostanze, non va dimenticato che tutti siamo o siamo stati vittime di qualcosa nella vita. Davvero, tutti. Pensate a chiunque, da Jeff Bezos a Dolly Parton, dal vostro datore di lavoro alla tipa che sta alla cassa del vostro supermercato. Tutti abbiamo i nostri demoni e i nostri traumi. Siamo tutti vittime e carnefici, dicevamo. E passare da una all’altra definizione non è difficile: ce lo hanno insegnato proprio Harry e Meghan.

Anatomia della vittima manipolatrice

C’è una chiara tendenza nel mondo: sempre più spesso siamo portati a dichiararci vittime di qualcosa e non lo facciamo per “moda” come molti pensano, dicono o scrivono. Lo facciamo perché lo siamo e perché gli attuali mezzi di comunicazione e una società (almeno all’apparenza) meno stigmatizzante ci permettono di rivelare, magari dopo anni di silenzio, abusi e violenze. O semplicemente ingiustizie.

Quindi, quando una persona si dichiara vittima di qualcosa, ne parla, approfondisce l’argomento, potrebbe star facendo solo questo. Solo dichiarando una situazione che è avvenuta, che ha avuto delle conseguenze e che è giusto (o in alcuni casi anche solo terapeutico) chiamare col suo nome. Allora com’è che una vittima diventa manipolatrice?

1. La vittima manipolatrice non esce mai dal suo ruolo

Possiamo essere tutti molto dispiaciuti per la condizione di Harry. Spare, l’avanzo, il pezzo di ricambio, il sostituto che (parliamoci chiaro) nel 2022 e con l’attuale erede al trono che continua a figliare, difficilmente verrà impiegato. Bene, Harry è uscito dalla sua condizione di Spare nel momento in cui ha deciso di non essere più un membro Senior della famiglia reale (parleremo del come). Ora è solo un uomo molto ricco con una bellissima moglie e due figli splendidi, libero di fare letteralmente qualsiasi cosa al mondo. Cosa fa? Mette un’etichetta sul suo faccione che dice proprio Spare.

2. La vittima manipolatrice vede solo il suo vittimismo

Mi spiego meglio. Harry è una vittima, ok? In alcune situazioni e aree specifiche della vita. In altre, invece, è persona estremamente privilegiata. Parliamo un attimo della sua dichiarazione nella strafamosa intervista con Oprah Winfrey:

Mio padre non mi ha dato niente, sono rimasto solo con ciò che mi aveva lasciato la mamma in eredità.

Harry baby… l’eredità della Principessa Diana è una somma che il 90% della popolazione mondiale non accumulerà MAI nel corso della vita. Scusa se non empatizzo. Oltre al fatto che tu e tua moglie siete belli, famosi, pieni di talento a quanto dite. Potreste, tipo, lavorare.

3. La vittima manipolatrice non riconosce l’esistenza di altre vittime

Parliamo un attimo di una persona che con Harry ha molto in comune: William, suo fratello. Non solo anche lui ha perso la mamma da ragazzino, ma ricordiamoci che la mamma (una persona fragile, ben lontana dall’aura di santità che le è stata affidata) lo chiamava “il suo piccolo uomo” e sembra che gli raccontasse tutto. Tutto. Un ragazzino che aveva 15 anni quando è morta la madre è stato per anni il suo confidente, anche di cose estremamente intime, e il suo psicologo senza licenza. Pensate che trauma. Però a Harry non interessa nulla di tutto ciò. Che suo fratello abbia vissuto lo stesso trauma, con in più la responsabilità di reggere la salute psicologica di sua madre quando era un bambino, e che adesso abbia una serie di responsabilità e doveri dai quali non può ritirarsi come ha fatto lui, non viene mai citato. Harry è l’unica vittima, insieme a Meghan ovviamente.

4. La vittima manipolatrice non sa prendersi le proprie responsabilità

Ancora una volta: non facciamo victim blaming. Harry non ha avuto nessuna responsabilità nella tragedia che ha colpito sua madre né nelle dinamiche tossiche e disfunzionali in cui la sua famiglia è sempre stata immersa fino al collo. Ma tutto il resto? La divisa da nazista con cui si è presentato a una festa in maschera anni fa, “è stato mio fratello a dirmi di indossarla“. Davvero, Harry? Avevi 21 anni ed eri un militare e un membro della famiglia reale: potevi capire anche da solo che fosse un costume inappropriato. L’orribile colpo basso ai nonni (ultranovantenni) di annunciare l’abbandono alla famiglia pubblicamente, senza prima parlarne in privato? Una decisione per tutelare Meghan. Sia mai che un uomo di 36 anni si prenda le sue responsabilità e dica “Questa vita non fa per me, questa famiglia è tossica, decido di andarmene con tutte le conseguenze del caso“.

5. La vittima manipolatrice vede complotti ovunque

Questa è forse la più divertente delle qualità di una vittima manipolatrice… se vista dall’esterno. Per i suoi cari è un inferno continuo. Esempio perfetto: nella loro serie-documentario Harry & Meghan raccontano che una vera e propria campagna di odio è stata ordita ai loro danni da una comunità organizzata di troll. Il che è assurdo perché

  • difficilmente i troll hanno un’organizzazione tipo Cabala segreta;
  • gli odiatori su twitter analizzati nella puntata sono 80 (in tutto il mondo, 80 persone);
  • i tweet analizzati dicevano semplicemente che Meghan, o Harry, o entrambi fossero persone sgradevoli.

Ecco, la vittima manipolatrice non può accettare una verità così semplice – ma quanto dolorosa – come non si può piacere a tutti. Così un manipolo di persone che dicono semplicemente “A me Harry sta antipatico” o “Il cappello di Meghan somiglia a un panettone” diventano una setta segreta che ordisce piani per… cosa esattamente? Non si sa, ma sicuramente tutto il mondo è lì fuori col coltello tra i denti per colpire proprio loro.

Cosa possiamo imparare da Harry The Spare

Questa riflessione non ha l’obiettivo di colpire Harry e Meghan (come loro probabilmente penserebbero, se leggessero il mio blog: ciao cuori!). L’obiettivo, come sempre nei miei post sui personaggi famosi, è prendere un esempio che è sotto gli occhi di tutti – vorrei ricordare, per sua scelta – e imparare da questo come ragiona e reagisce quella strana creatura che è l’essere umano. L’obiettivo è non essere Harry The Spare, qualunque cosa ci abbia resi vittime nella nostra vita. La sfortuna di nascere nel posto sbagliato, una famiglia disfunzionale, un partner violento, una malattia, la perdita di una persona cara, i disturbi mentali, le violenze sessuali. Tutte cose vere, reali, le cui vittime sono reali. Ma possono scegliere se diventare anche carnefici.

Possono scegliere, possiamo scegliere, se essere una vittima manipolatrice o prendere in mano la nostra vita. Andare in terapia, elaborare il trauma, riconoscere i privilegi che abbiamo (che non sono un giudizio sulla difficoltà delle nostre vite, li abbiamo e basta), guardare chi altri sta passando la stessa cosa o una cosa molto diversa con oggettività. Essere persone complicate, fragili, che hanno tanto di negativo e tanto di positivo nella propria vita e imparano a vivere in questo assurdo equilibrio.

Traduzione: Quando qualcuno ti dice "Stai parlando da una condizione privilegiata" intende dire solo che probabilmente sottovaluti quanto sia grave un problema solo perché non sei mai stato esposto a quel problema. Non è un giudizio morale su quanto sia difficile la tua vita.
Traduzione: Quando qualcuno ti dice “Stai parlando da una condizione privilegiata” intende dire solo che probabilmente sottovaluti quanto sia grave un problema solo perché non sei mai stato esposto a quel problema. Non è un giudizio morale su quanto sia difficile la tua vita.