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La notizia del momento è questa: Gucci e la modella con sindrome di Down. Si tratta di una mossa di marketing, di vera apertura verso una moda inclusiva o cosa?

Perché Gucci ha scelto una modella con sindrome di Down?

La risposta potrebbe essere più complicata del previsto. Certo è che di questi tempi il limite tra l’inclusività e il perbenismo si fa sempre più labile.Vogliamo che l’unicità di ogni individuo sia valorizzata e rispettata, giusto? Sì, ma è difficile non pensare che la campagna Gucci beauty con protagonista Ellie Goldstein non sia stata pensata solamente per far parlare di sé. In fondo Alessandro Michele ha sempre fatto questo, da quando si trova a capo della griffe fiorentina. Crea scandalo, lancia messaggi forti, fa in modo che si crei un dibattito intorno ad ogni scelta marchiata Gucci. E se da un lato gli insulti alla modella con sindrome di Down sono beceri e disgustosi, dall’altro il dibattito si è effettivamente acceso. Non puoi cambiare ciò che non riconosci. Riconoscendo che una modella con sindrome di Down non sia mai stata considerata canonicamente bella e quindi adatta a una campagna pubblicitaria glamour (nonostante Ellie Goldstein avesse già lavorato per Nike e Vodafone, la risonanza di Gucci nel mondo delle modelle è su tutto un altro livello), creiamo i presupposti per parlarne. Per porci dei dubbi e magari trovare delle risposte.

Una modella con sindrome di Down è inclusività o discriminazione?

La faccenda è complicata e sfaccettata. La discriminazione di un disabile è sempre sbagliata, ma d’altra parte il lavoro della modella è fare da vetrina a un prodotto e permettere di venderlo valorizzandolo nel modo migliore. Una modella deve, per definizione, essere di una bellezza il più possibile convenzionale. In questo modo valorizza ma non oscura l’abito o il prodotto che indossa, vero protagonista della sfilata o della campagna pubblicitaria. Sappiamo che Alessandro Michele non l’hai mai pensata così, però. Le sfilate Gucci, da quando lui ne è direttore artistico, sono state degli spettacoli a volte grotteschi. A volte bellissimi, a volte di una bruttezza affascinante e quasi mistica, in cui gli abiti sono effettivamente passati in secondo piano.

In definitiva sì, il fatto che Gucci abbia scelto una modella con sindrome di Down per la sua campagna beauty è perfettamente in linea con il brand. Ma non rappresenta di per sé un passo avanti nel sistema moda, che continua a rimanere un inferno per chi soffre di una malattia cronica.

Le lente aperture della moda verso la disabilità

Da anni vediamo nel mondo della moda dei piccoli e lenti spiragli di apertura, delle deviazioni da quella bellezza canonica in cui i corpi sono vetrine per gli abiti. Di stagione in stagione, sulle passerelle e sui manifesti pubblicitari abbiamo visto comparire modelle più “normali”, almeno in apparenza. C’è Winnie Harlow (al centro), bellezza mozzafiato affetta da vitiligine che si è resa portavoce di una normalizzazione del diverso. Ci sono Diandra Forrest (in alto a sinistra) e Ruby Vizcarra (in basso a sinistra). Entrambe rappresentano l’eterea bellezza albina contrapposta alla dittatura dei corpi abbronzati e delle pelli perfette. Melanie Gaydos (in basso a destra) e Jillian Mercado (in alto a destra) hanno lavorato per importanti griffe della moda nonostante siano affette rispettivamente da displasia ectodermica e distrofia muscolare.

Cominciate a intravedere un pattern nella scelta di queste modelle con malattie croniche? Eccolo: un corpo malato, “diverso” è accettato e valorizzato solo qualora la sua diversità sia evidente, estetica, marketizzabile. Certo, direte, la moda è un mezzo visivo. Abiti, accessori, scarpe, prodotti beauty si vendono con sfilate e campagne pubblicitarie, immagini social che diventano virali e spot in cui i corpi che li indossano li valorizzino. Giusto.

Dove si collocano le malattie invisibili nel fashion system?

Da nessuna parte. Proprio nessuna. Se sei una malata cronica invisibile, al 99% non avrai alcuna voglia di fare la modella. Ma lo sai che vite conducono, le modelle? Viaggi, jet-lag, orari impossibili, ritmi di lavoro insostenibili, un esercizio fisico continuo e diete che probabilmente cozzano con le 5-6 medicine che devi prendere ogni giorno per mantenerti in condizioni decenti. Ammettilo: se soffri di fibromialgia, di sindrome da fatica cronica e di altre malattie invisibili, non è la vita che fa per te. E va benissimo. Ognuno di noi ha il proprio percorso nel mondo.

Sai qual è il problema, però? Che sei una persona così, se hai una disabilità invisibile, che influisce su ogni aspetto della tua vita ma non è glamourizzabile in nessun modo, il mondo della moda non ti vuole da nessuna parte. Né in passerella né dietro le quinte.

Gli invisibili del fashion system

Ci hai mai fatto caso? Con alcune notevolissime eccezioni, i giornalisti di moda sono bellissimi e sembrano non avere un difetto. Hai visto Il Diavolo Veste Prada? Fattelo dire da una che nel fashion system ha bazzicato quel tanto che basta per esserne disgustata. Il Diavolo Veste Prada non è un’eccezione, non è un’esagerazione, è la regola di ciò che accade nel mondo della moda. Sarà difficile entrare nella redazione di un magazine glamour se hai la pancetta dovuta al morbo di Crohn. Non potrai lavorare nell’ufficio stampa di una griffe, se hai la scoliosi e non riesci a mantenere una postura perfetta. E non farmi neanche cominciare con le occhiatacce che ti arrivano quando sei in fila per entrare a una sfilata alla fashion week e magari sei sudata e dolorante. Perché soffri di fibromialgia e il tuo corpo non regge i ritmi incessanti delle settimane della moda.

Non importa quanto tu sia brava nel tuo lavoro, che articoli interessanti e profondi tu scriva, con quali copy geniali riesca a risolvere una campagna di advertising che sembrava non funzionare. Il mondo della moda non le vuole vedere, la tua pancetta e le tue scarpe ortopediche e i peli superflui e i brufoli. Neanche se il tuo lavoro non è fare la modella e, in teoria, vai alle sfilate per scriverne, non per farti guardare. A un certo punto, stanchi di veder sbucare i tuoi capelli bianchi perché quel giorno proprio non ce l’hai fatta ad andare dal parrucchiere, smetteranno di volerti in prima fila. Poi smetteranno di invitarti del tutto. E poi si riempiranno la bocca e le tasche con la moda inclusiva.