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Si è tenuta ieri la Giornata Mondiale della Fibromialgia, della Sensibilità Chimica Multipla (CFS) e della Sindrome da Fatica Cronica. Istituita per sensibilizzare verso queste malattie croniche invisibili, questa giornata è stata anche un’occasione per riflettere su cosa significa vivere con una malattia cronica, accettarla e affrontarla.

Fibromialgia, cause e cura

La cosa più difficile dell’accettare una malattia cronica come questa (e come tante altre) sta proprio nel comprendere che non c’è una causa certa. E non c’è una cura.

I sintomi della fibromialgia e l’odissea di una diagnosi

I numerosi convegni ed incontri organizzati in tutta Italia per la Giornata Mondiale della Fibromialgia 2019 hanno messo in luce, ancora una volta, la difficoltà di ricevere una diagnosi certa. I sintomi sono così numerosi e i sistemi diagnostici così incerti che si possono passare anni, anche decenni, perfino una vita intera senza avere una diagnosi.

E quando quella diagnosi arriva, a volte è anche peggio. C’è un certo senso di liberazione, una sicurezza fino ad allora sconosciuta nel vedere il medico di fronte a te pronunciare le fatidiche parole: “Lei soffre di fibromialgia“. La prima volta che senti questo termine, quasi sorridi. Perché è una risposta a quel dubbio che ti attanaglia da sempre, o comunque da moltissimo tempo. Cosa c’è che non va in me? Non è molto, ma è una risposta, un passettino in più verso la conoscenza. Verso la comprensione, l’accettazione. Persino verso la cura, pensi nella tua piccola testolina che di medicina non sa niente, nel tuo piccolo corpicino che della vita non sa niente, che non è mai stato sano, che non ha mai conosciuto la sensazione di essere sano.

Come vivere con una malattia cronica

Eh, come? Se lo sapessi, ve lo direi.

Si dice che la diagnosi di una malattia cronica sia come un lutto: va elaborata. Passi da quegli stessi stadi che si affrontano quando si perde una persona cara. In fondo, hai perso te stesso, il te stesso sano. O, come nel mio caso, un te stesso sano non c’è mai stato, non da quando ti ricordi. Hai perso la speranza di conoscerlo, quel te stesso sano e in salute. Giorno dopo giorno, medico dopo medico, ogni specialista (quelli che conoscono la fibromialgia e sanno di cosa parlano, almeno) ti dice “Guardi signorina che una cura per la sua malattia non c’è, lo sa vero?“.

Lo sa vero? Alcuni te lo chiedono con delicatezza, altri quasi con un tono di sfida, altri ancora sembrano quasi aspettarsi che ti metterai a piangere lì, al centro del loro studio. E a volte lo fai. Perché lo sai, vero, che non c’è una cura alla fibromialgia. Che quel dolore perpetuo eppure sempre diverso è tuo, fa parte di te, del tuo corpo, non è qualcosa da combattere, è qualcosa con cui imparare a convivere. E quanto è difficile impararlo.

Le fasi del lutto

Rifiuto. Rabbia. Depressione. Tristezza. Accettazione. Le fasi del lutto, la perdita di quella parte di te che ancora ci spera, che le cose cambieranno. Che quasi (e quanto ti senti in colpa nel farlo) spera di sentirsi dire dal prossimo medico che ehi, ci siamo sbagliati tutti. Spera di sentire un altro nome, magari più minaccioso ma più conosciuto. Vivere con una malattia cronica vuol dire anche questo: sperare di averne un’altra. Perché che ci sia qualcosa che non va nel tuo corpo lo sai, lo hai sempre saputo, ma magari non è la fibromialgia. Questa parola così strana che vuol dire tutto e niente e divide perfino i medici. Esiste, non esiste, quali sono i suoi sintomi e le cure, cosa possiamo fare per rendere la tua vita normale? E se non lo sanno loro come puoi saperlo tu, come possono saperlo le persone che ti amano e che ti stanno accanto e che inevitabilmente, sempre, sbagliano ad affrontarla?

Perché viene la fibromialgia?

E chi lo sa? Si è parlato di tutto, dalle cause genetiche a quelle immunitarie, dai traumi psicologici ai deficit neurologici. Ma la comunità scientifica continua ad essere confusa, e ancora di più lo siamo noi fibromialgici. Noi che questa malattia la abitiamo e non abbiamo idea di come uscirne.

Questa è l’unica cosa che so: non si può. Non se ne esce. Si va per tentativi, con gli antiepilettici e gli antidepressivi, i miorilassanti e lo sport adeguato, l’alimentazione giusta e il sostegno psicologico, gli antinfiammatori e i massaggi appositi. E dove si arriva? Da nessuna parte. Non finché non si impara ad accettare la malattia cronica, a considerarla una parte del pacchetto più che un’ospite indesiderata. Come i miei occhi sono azzurro-verdi e i miei capelli sono ricci, così il mio corpo è un corpo malato. Punto.

E se la malattia cronica non definisce CHI SONO, sicuramente definisce gli ostacoli che mi si pongono davanti ogni giorno, ad ogni ora.

Cosa significa vivere con una malattia cronica

Forse semplicemente questo: riconoscere che non SEI la tua malattia ma HAI una malattia. Io non SONO il dolore cronico, ma SOFFRO di dolore cronico. E questo delimita gli spazi in cui riesco a muovermi e gli sforzi che devo fare per superarli. Nessuno dice che io non possa scalare una montagna. Solo che ci metterò più tempo degli altri, farò una fatica bestiale nello scalarla, e arriverò in cima con dolori ovunque e avrò bisogno di settimane per riprendermi. Ma ci arriverò, su quella cima.