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Piccole Donne è stato il primo libro “vero” che abbia mai letto. Così, di botto, dopo Topolino ho cominciato a leggere Piccole Donne. Non so chi lo abbia portato sulla mia libreria né in quale occasione, ma ricordo la copertina gialla di una delle infinite edizioni del romanzo, il profumo della carta così diversa da quella dei fumetti e tanti, tantissimi vestiti di mussola, che allora non sapevo cosa fosse ma mi piaceva tantissimo questa parola.

Perché leggere Piccole Donne ancora una volta?

L’ho scoperto ieri, alla lettura con commento di Francesca Cavallin, nell’ambito dell’800 Padova Festival. Anzi, l’ho scoperto già qualche minuto prima, in attesa di entrare nella splendida sala del Caffè Pedrocchi, mentre si creava una fila di donne di tutte le età pronte a ri-immergersi nel mondo delle sorelle March. C’era la mamma elegante, in un abito di pizzo verde. Raccontava come mai e poi mai avrebbe fatto attraversare le colonne del Pedrocchi alle sue figlie – che infatti erano riuscite a laurearsi entrambe, senza dubbio grazie alle colonne del Pedrocchi. Una giovane meridionale fuorisede, un po’ spaesata. Come me, sta ancora cercando il suo posto nel mondo quotidiano e artistico di una città in continuo fermento come Padova. In angolo, la signora con i capelli bianchi si lamentava della maleducazione delle persone a cui squillava il cellulare durante la lettura – e aveva ragione. Una ragazzina che avrà avuto 14 anni, trascinata lì dalla mamma, filmava tutto l’incontro dal suo smartphone. C’era anche qualche uomo a leggere Piccole Donne, sì, in netta minoranza ma attento.

Piccole Donne di ogni generazione, e Francesca Cavallin pronta a ricordarci cosa è stato questo romanzo nella letteratura dell’800 e nella vita di tutte noi. Perché leggere Piccole Donne, quindi? Perché è un romanzo femminista, anche se si legge molto prima di sapere cosa significhi questo aggettivo. Racconta il modo di essere donne, anzi i mille modi di essere donne. E poi ha una prosa estremamente fluida per il periodo ed è un capolavoro di dialoghi, ritratti e scene familiari. Perché è un romanzo di formazione atipico e anche pedagogico. Anche se, ci racconta Francesca Cavallin, Louisa May Alcott era un maschiaccio come la sua Jo e l’ultima cosa che volesse fare era insegnare alle ragazze come comportarsi. Invece lo ha fatto, e continua a farlo da oltre 150 anni.

Il movimento femminista in America

Leggendo Piccole Donne insieme all’attrice Francesca Cavallin, è impossibile non parlare di femminismo. Quello pratico, morale, forse meno filosofico del nostro, quello americano. Parlare di queste donne che erano il fulcro della famiglia, vera spina dorsale della società durante la guerra di secessione e non solo.

Femminista è l’autrice, Louisa May Alcott. Femminista è la signora March, che insegna alle sue figlie i sacrifici da fare in nome della famiglia ma anche il potere dell’autorealizzazione e dell’indipendenza, andando contro alla spasmodica ricerca di marito che è fulcro di molti romanzi dell’800. Femministe sono le Piccole Donne, Meg, Jo, Beth ed Amy. Ognuna a modo proprio.

Quattro modi diversi di essere donna, che rispecchiano persone diverse ma anche fasi diverse della vita di ognuna. Da piccola, io ero senza dubbio una Meg con una punta di Beth nell’animo. Da adolescente credo di essere stata una Amy un po’ superficiale ma dal cuore buono. Solo adesso mi posso identificare con Jo, ma mai pienamente. Dentro ogni donna vivono le Piccole Donne della Alcott, personaggi forti e fragili, femminili ma non vezzose, pratiche ma mai prive di gentilezza. Donne che si trasformano nel corso dell’anno in cui è ambientato il romanzo, da un Natale all’altro, come tutte noi.

La letteratura dell’800 e il mito dell’angelo del focolare

Come Francesca Cavallin ha messo bene in evidenza durante l’evento dell’800 Padova Festival, questo secolo per l’Europa è il momento del romanticismo, per l’America quello del pragmatismo.

Terra fertile e ancora per molti versi vergine, gli Stati Uniti si discostano dal vecchio continente anche nella figura femminile. I romanzi pedagogici, che qui raccontavano storie patetiche e tragiche, per la letteratura americana sono uno strumento per educare un popolo appena nato. Una generazione di donne e uomini che ha bisogno di valori su cui fondare la propria vita e il futuro del paese. Così i personaggi femminili, in Europa angeli del focolare in attesa del principe azzurro (così gli scrittori volevano immaginarli), sono padroni del proprio destino, scelgono la via della pratica e dell’impegno, del dovere e del lavoro. Anche se non disdegnano la coltivazione di sogni e passioni più piacevoli.

Impossibile non emozionarsi quando Jo pubblica il suo primo racconto su un giornale; quando Meg legge la “Maria Stuarda” di Schiller con una pronuncia meno precisa ma una passione più travolgente della sua controparte inglese; quando Beth ricorda alle sue sorelle il valore della famiglia:

“Non è giusto che alcune bambine possano avere tutto ciò che desiderano e altre non abbiano niente”, aggiunse la piccola Amy, tirando su con il naso con aria offesa.
“Ma abbiamo il papà e la mamma, e la compagnia una dell’altra”, disse Beth compiaciuta dal suo angolo.



A questa frase, dalla sala del Caffè Pedrocchi si leva un sospiro collettivo, e il pensiero è stesso che donne di tutte le età hanno espresso prima e dopo l’incontro: speriamo che le bambine di oggi e domani leggano Piccole Donne. E anche noi, magari, rileggiamolo da adulte. 

 





Si ringraziano 800 Padova Festival e Sugarpulp per il gentile invito.