Spread the love

Decidere cosa postare sui social è sempre un piccolo grande dilemma: ormai parte integrante della nostra vita, internet non rappresenta un mondo separato da quello reale, ma piuttosto una continuazione delle nostre vite quotidiane. E quindi cosa postare, cosa no, quanto raccontare della tua malattia cronica e della tua vita? Che fatica.

Perché postare sui social il racconto della tua malattia cronica?

Che la scrittura sia terapeutica per i malati cronici e non solo è un fatto assodato da ricerche scientifiche. Mettere nero su bianco dubbi, paure, piccoli e grandi problemi, scegliere se ironizzare sulla propria condizione o raccontarne la cruda verità è un metodo usato in psicologia, nel trattamento di malati terminali e malati cronici e anche nella ricostruzione di eventi traumatici del proprio passato. Ma la domanda è: perché postare sui social racconti, immagini e situazioni che rivelano le nostre fragilità?

Scrittura terapeutica: cos’è e come funziona

Che la medicina narrativa o scrittura terapeutica facciano bene alla salute è stato dimostrato da studi scientifici e psicologici. Elaborare ansie, paure, blocchi emotivi sulla carta (o sullo schermo del pc) permette di affrontarli in maniera “sicura”. Soprattutto per chi ha difficoltà nel farlo a voce. Il bonus della scrittura terapeutica per i malati cronici è quello di rendere visibile, nero su bianco, qualcosa che spesso viene considerato invisibile.

Provo a spiegarmi meglio. Il dolore di ogni tipo, compresi il dolore emotivo e il dolore cronico, non ha una manifestazione tangibile. La gente ha piena libertà di crederti o non crederti se dici di provare dolore ogni giorno, perché se la tua è una malattia invisibile come la fibromialgia o se soffri di una malattia mentale, non hai un modo di dimostrare con analisi ed esami la reale presenza ed entità di quel dolore. Ovviamente, chi non ti crede a voce potrebbe non crederti neanche per iscritto, ma i benefici della scrittura terapeutica sono soprattutto per te stesso. Sei tu a vedere con maggior chiarezza quello che ti succede, che spesso neanche i medici sanno spiegarti (perché ti manca la preparazione per comprendere i termini tecnici, perché la tua malattia non ha ancora degli studi comprovati, per un miliardo di motivi). Quando ti siedi alla scrivania e trasformi il tuo dolore in parole, diventa in qualche modo più comprensibile, tangibile, presente ed affrontabile. 

 Che c’entrano i social?

Soprattutto per la nostra generazione (i temibili millennials) e per quelle successive, i social network sono semplicemente parte della nostra vita quotidiana. Sono il nostro modo di conoscere il mondo, rapportarci ad esso e gestire lo storytelling della nostra vita. E nel caso dei malati cronici, anche della nostra malattia. 

Capita spesso che un malato cronico tenda ad isolarsi, perché al dolore fisico si aggiungono i problemi mentali ed emotivi che ne derivano o semplicemente perché costretto a rinunciare a parte della vita sociale, lavorativa e comunitaria delle persone “sane”. Quel piccolo strumento tutto schermo diventa la tua finestra sul mondo, il tuo unico modo per mantenere i contatti, per non sentirti solo, per non impazzire. E quindi, a volte più che per gli altri, un mezzo per essere vivo, per raccontarti, per condividere. 

Ogni giorno un malato cronico, soprattutto se giovane, si trova a decidere cosa postare sui social. Ognuno di noi (anch’io, ovviamente) tende ad appiccicare un’etichetta su tutte le persone che conosce. Non (sempre) per cattiveria, ma perché ci rende le cose più facili. Avere a che fare con gli esseri umani è una cosa estremamente complicata e pensare che ogni persona della nostra vita corrisponda a una precisa definizione semplifica i nostri rapporti interpersonali. Tendiamo a dare per scontato che il tipo divertente del nostro gruppo di amici sia sempre divertente, e andiamo in tilt quando ha una giornata no. Che la persona timida e riservata in famiglia non debba mai avere un momento di spontanea euforia. Delude le nostre aspettative, complica la nostra conoscenza di quella persona, ci costringe a trovare un nuovo modo per rapportarci con lei.

Tutto questo accade anche nel caso di una malattia cronica o di una malattia mentale. Tendiamo ad appiccicare le etichette su chiunque, perché non dovremmo farlo su chi ha una caratteristica precisa e immutabile come, appunto, una malattia incurabile?

Come decidere cosa postare sui social quando hai una malattia invisibile

Se avessi una gamba amputata, lo saprebbero tutti, nessuno si permetterebbe di mettere in discussione la cosa. E non te la sto mica augurando, eh. Ma con le malattie invisibili è tutta un’altra storia. Lo sai benissimo: qualunque cosa tu faccia o non faccia, ci sarà qualcuno pronto a mettere in dubbio la veridicità della tua condizione.

Se pubblichi sui social una foto in cui sei in vacanza e ti diverti, probabilmente non stai veramente male. Invece quando racconti di star male, stai solo cercando attenzioni. Quando ironizzi sulla tua malattia, vuol dire che l’hai completamente accettata e interiorizzata e non c’è alcun bisogno di preoccuparsi della tua sensibilità. Se non te la senti di ironizzare e hai bisogno di sfogarti, sei una persona negativa che non sta combattendo, dovresti essere una guerriera! Non ci pensi a chi sta peggio di te? E via discorrendo. Ma in fondo, non è così per tutti? 

I social network ci danno il privilegio di gestire lo storytelling della nostra vita, stabilire la nostra immagine e cambiarla ogni volta che vogliamo. E quindi via, pubblica quella foto o quel post che desideri condividere con amici, parenti e non. Chi ci ama capirà. Di chi non ci ama, che importa?