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Io non so il perché, ma i miei post sulla fibromialgia, il dolore cronico e le infinite sfaccettature del vivere con una malattia cronica sono sempre tra i più letti di questo blog. Soprattutto da compagni di disavventura. Forse leggere di chi ha la nostra stessa patologia ci aiuta a capire come accettare una malattia cronica. Oppure, come dice David Grossman, chi può resistere alla tentazione di sbirciare nell’inferno di un altro? Insomma, mi è stato chiesto di raccontarvi come sopravvivere a un trasloco ed eccomi qua, 20 giorni esatti dopo, a cercare di tirare le fila di questa lunghissima avventura. 

 

 

Esiste un kit per sopravvivere a un trasloco?

Purtroppo no. E sono certa che, se esistesse, sarebbero tantissime anche le persone “sane” a cui potrebbe servire. Perché un trasloco è SEMPRE una fatica disumana, questo vale per tutti, indipendentemente dalla nostra condizione. Vero è, però, che la fibromialgia, la stanchezza cronica, l’ansia (che vanno sempre tutte a braccetto, si vogliono bene) peggiorano la situazione. 

Come ho affrontato il mio trasloco

Male, malissimo, ecco come l’ho affrontato. Se sei una persona che soffre di ansia, ogni cambiamento è un fattore scatenante. Immagini terribili scenari in cui ogni cosa andrà storta, non trovi la casa in affitto che fa per te, oppure la trovi e un secondo dopo inizi a pensare a quanti difetti abbia. Non puoi farci niente. Né “calmarti”, né “evitare di pensarci”. Ecco un piccolo segreto, per tutti voi là fuori che non avete idea di cosa significhi avere dei disturbi fisici e mentali: la malattia non è una nostra scelta, mai. Ciò è valido anche per gli attacchi d’ansia. Non scegliamo attivamente di pensare a tutto ciò che potrebbe andare storto, la nostra mente va in quella direzione col pilota automatico. E quando una malattia cronica e un disturbo mentale vanno a braccetto (che uno sia la causa dell’altro, che siano concomitanti, che siano completamente separate, che importa?) il disastro è imminente e inevitabile. 

 

Attacchi d’ansia e senso di colpa

Non sapete come vi invidio, tutti voi che non soffrite di ansia. Dev’essere bello. Ogni scelta radicale (e occhio, cambiare casa lo è) porta con sé un minimo di inquietudine e smarrimento, in tutti quanti. Ma se soffri di ansia sociale, ogni singolo dettaglio di quella scelta ti ruota in testa ogni secondo, e appare come un immenso segnale di pericolo. E la sensazione peggiore di tutti è il senso di colpa. Sì, perché se soffri di dolore cronico, o di stanchezza cronica, o entrambi, sai già che il tuo ruolo nel trasloco sarà microscopico, quasi irrilevante. 

Lo vedi, che quel giorno tutti lavorano più di te, amici, parenti, tutti quelli che hanno deciso di aiutarti (e che non smetterai mai di ringraziare, perché sai che senza di loro i tuoi scatoloni sarebbero rimasti in garage per mesi e avresti dormito per terra perché non avresti mai avuto la forza di montare il letto). Ti accorgi che questa casa è troppo grande, e i mobili troppo pesanti, e la valigia dei vestiti è piena fino a scoppiare e forse ti servirebbe proprio quel kit per sopravvivere al trasloco, avresti avuto bisogno di più tempo, di più energia, di più salute per affrontare questa giornata campale con un altro spirito. Mentre tutti intorno a te sono stanchi ma continuano a portare pacchi su per le scale e a montare sedie e a sistemare la dispensa, tu dopo i primi 10 minuti vorresti sdraiarti per terra e non alzarti mai più. E ti chiedi come facciano, loro, quelli sani, a continuare a lavorare. Non avete voglia di dormire per 8 ore adesso? Ci fermiamo qui e continuiamo domani, che dite? 

 

Come la malattia cronica è stata il mio kit per sopravvivere al trasloco

Poi passa, quella giornata terribile, i mobili vanno al proprio posto, li monta il tuo fidanzato ovviamente, ma in qualche modo sono lì. Le valigie si svuotano, gli scatoloni pure, ogni cosa trova il suo posto (per ora provvisorio) nella casa nuova. Ti rendi conto che al trasloco, alla fine, sei sopravvissuta. E che il kit di sopravvivenza in fondo lo avevi. 

Perché se hai vissuto tutta la vita con il dolore cronico e con l’ansia, possiedi delle capacità molto particolari che hai acquisito durante la tua lunga carriera e che fanno di te un incubo per qualsiasi imprevisto provi a fermarti (cit. Liam Neeson in “Io vi troverò”). Possiedi l’istinto naturale per prevedere i problemi e trovare delle soluzioni prima ancora che possano presentarsi. La capacità di resistere, perché da anni resisti a dolori atroci e che sarà mai fare un’altra volta le scale? La tendenza ad adattarti e ad adattare le cose per renderti la vita più facile. Oh, hai sbagliato a prendere le misure e ora la cabina armadio è un disastro? Chi se ne frega, mettiamo i vestiti dall’altra parte della stanza, così sono più facili da raggiungere. Il bagno al piano di sopra per ora non si può usare? Perfetto, una stanza in meno da pulire e tenere in ordine. 

Il nostro asso nella manica

Una vita di dolore fisico e mentale ti è servita da allenamento, per avere molti più problemi di chiunque altro ma anche molte più soluzioni. E questo non potrà togliertelo nessuno.

E quindi. Alla fine, dopo 20 giorni, questa è casa mia. Ci sono ancora decine e decine di cose da fare, la superficie di stanze e mobili da pulire e tenere in ordine è comunque raddoppiata, la tranquillità di una casa relativamente indipendente pone sfide finora mai affrontate (sto parlando di voi, insetti strani che non ho mai visto e che cercate di entrare da ogni benedetta finestra). Ma questa è casa nostra, l’abbiamo scelta, arredata, le abbiamo dato una personalità, cerchiamo di adattarla alle nostre esigenze e giorno dopo giorno la sentiamo sempre più casa. Sarà sempre difficile tenere tutto in ordine, sarà sempre faticoso fare le scale per arrivare in camera da letto, sarà sempre schifoso eliminare le cimici dalla zanzariera (santo cielo!), ma ce la faremo. Io, lui e la mia malattia. Siamo una bella famiglia, in fondo.