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Ho avuto l’occasione di leggere il romanzo “E alla fine c’è la vita” di Davide Rossi, edito quest’anno da Apollo Edizioni, che mi è stato gentilmente regalato dall’autore.

Si tratta di un libro particolare, un romanzo pop e generazionale, come lo stesso Davide Rossi definisce il suo “E alla fine c’è la vita. L’autore si dice ispirato da titoli come “Le regole dell’attrazione” di B. E. Ellis, ma si ravvisano anche tracce di “Jack Frusciante è uscito dal gruppo” di Enrico Brizzi e tutto il filone dei romanzi generazionali. Protagonisti della trama sono quattro studenti universitari di Pavia: Marco, Mario, Marianna e Marika. Ragazzi giovani e affamati di vita, quella vita che divorano senza fare caso alle briciole che si lasciano dietro. Sesso, droga e alcool riempiono le loro giornate, scandite dal veloce procedere di una settimana di gennaio 2009. Sullo sfondo l’Università di Pavia, che accomuna i quattro ragazzi anche se riveste solo una piccolissima parte delle loro vite. Ognuno dei quattro, infatti, vivrà in quella settimana degli eventi drammatici in grado di cambiare il loro destino, come racconta la conclusione del libro.

Qual è il problema?

Il problema di questo libro, per il mio gusto personale, è la forma letteraria scelta dall’autore: forte della sua passione per la sceneggiatura e delle passate esperienze in questo campo, Davide Rossi confonde romanzo e sceneggiatura in un mix non sempre coinvolgente e non abbastanza approfondito. Lo scorrere dei minuti e delle ore in quella fatidica settimana, insieme al narrato dominato dai dialoghi e al continuo cambiamento di scena all’interno di poche righe sembrano appunto più adatte a una sceneggiatura per il cinema che ad un romanzo. I personaggi sono poco caratterizzati (non aiuta il fatto che i loro nomi si somiglino così tanto, forse scelta precisa dell’autore), le scene hanno poco pathos probabilmente proprio perché mancano di tutti quegli elementi aggiuntivi tipici della scrittura cinematografica: il set, le movenze, il tono di voce degli attori, la luce, la fotografia renderebbero più comprensibili gli stati d’animo dei quattro studenti universitari e dei personaggi secondari, appena abbozzati, che li circondano. Anche alle situazioni narrate manca qualcosa, per poter uscire dai confini del classico romanzo generazionale a tinte pop. Le canne e le bottiglie di birra, il sesso occasionale e il viscido professore universitario non bastano a dare un’anima personale all’opera, che pure sfrutta qualche spunto originale come appunto la scrittura in forma di sceneggiatura.

Recensione di “E alla fine c’è la vita

E alla fine c’è la vita” di Davide Rossi si legge tutto d’un fiato, ma la conclusione del libro lascia insoddisfatti, come un film a finale aperto, che però manca di tutti quegli elementi che avrebbero potuto arricchirlo, se l’autore avesse compiuto una scelta più decisa tra la sceneggiatura e il romanzo. Tuttavia, risulterebbe probabilmente interessante a chi, come Davide Rossi, ha vissuto quegli anni e quella città, quell’Università di Pavia che vuole essere un microcosmo e forse non lo è anche per la mancanza di un vissuto condiviso tra l’autore e il lettore.

Se siete interessati ad approfondire l’argomento e leggere il libro, E alla fine c’è la vita” di Davide Rossi è disponibile sul sito ufficiale di Apollo Edizioni e sui principali store online.

Si ringrazia l’autore per il gentile omaggio.